        In Italia, a catalizzare l&rsquo;interesse della grande maggioranza degli appassionati sono da sempre le gare di Velocit&agrave;. I GP in primo luogo, ma anche le corse in circuito con moto derivate dalla serie (da decenni si tratta fondamentalmente delle Superbike). In passato erano molto popolari anche le gare in Salita e (soprattutto) le maratone stradali, prima che venissero vietate. In alcuni altri Paesi, per&ograve;, le gare in pista sulle lunghe distanze hanno avuto, e talvolta hanno ancora, un seguito straordinario, quasi paragonabile a quello dei Gran Premi. Viene subito in mente il Bol d&rsquo;Or, che in Francia ha un&rsquo;importanza analoga a quella della 24 Ore automobilistica di Le Mans. La prima edizione si disput&ograve; oltre cent&rsquo;anni fa, e dopo l&rsquo;interruzione dal 1960 la gara &egrave; ripresa in grande stile nel 1969, raggiungendo subito una grandissima popolarit&agrave;. Negli anni Settanta si &egrave; formata una vera e propria scuola di piloti di gran fondo e i francesi sono diventati i migliori specialisti del Mondo per le gare di questo tipo.  Continua nella prossima pagina MXGP: il ritorno di Herlings &nbsp; Le Case europee e l'Endurance  In Giappone c&rsquo;&egrave; la 8 Ore di Suzuka, seguita al punto da generare un tifo quasi calcistico tra gli appassionati delle diverse marche. In Spagna per lungo tempo si &egrave; svolta una massacrante 24 Ore sul circuito stradale del Montjuic, a Barcellona, divenuta giustamente famosa in patria e all&rsquo;estero. Si correva su strade normalmente aperte al traffico, all&rsquo;interno di un parco fittamente alberato. Il percorso era tortuoso e inoltre non era pianeggiante: da una parte si saliva e dall&rsquo;altra si scendeva. Negli anni Sessanta questa gara, caratterizzata da una crescente partecipazione straniera, fu teatro di fiere battaglie soprattutto tra monocilindriche di cilindrata contenuta. Le Ducati, costruite sia a Bologna che a Barcellona (dalla Mototrans), vinsero cinque volte tra il 1957 e il 1964. La Bultaco trionf&ograve; nel 1969 e nel 1972 (quando la sua 360 sconfisse moto di cilindrata ben maggiore). Grandi vittorie vennero ottenute dalla Laverda nel 1971, con la coppia Brettoni-Angiolini, e nel 1973 e 1975 dalla Ducati con gli specialisti Benjamin Grau e Salvador Canellas, davanti a fior di policilindriche giapponesi ufficiali o semiufficiali. Al Bol d&rsquo;Or, su circuiti velocissimi (Montlh&eacute;ry, poi al Paul Ricard) le moto italiane si comportarono ottimamente ma non riuscirono a vincere. A tenere alto il vessillo dall&rsquo;industria europea fu la Triumph tricilindrica vincendo nel 1970 (occasione nella quale venne iscritta come BSA) e nel 1971. Queste due vittorie furono per&ograve; il suo autentico canto del cigno. In Italia, sull&rsquo;onda dell&rsquo;entusiasmo generato dal boom dalle maxi-moto all&rsquo;inizio degli anni Settanta, suscitarono interesse gare pi&ugrave; corte (della durata di 500 km o di sei ore), riservate alle derivate di serie, che si svolsero su piste come Monza, Modena e Vallelunga. Tuttavia non decollarono mai per davvero, complice la modesta affluenza del pubblico, a conferma del fatto che pi&ugrave; che altro siamo dei velocisti&hellip;  Continua nella prossima pagina &nbsp; Laverda e Ducati  Analizziamo la tecnica delle moto europee protagoniste negli anni Settanta, i pi&ugrave; gloriosi per questa specialit&agrave;, con la partecipazione di tutte le pi&ugrave; importanti Case, tra le quali le nostre Ducati, Laverda e Guzzi. L&rsquo;inglese Triumph-BSA era una tricilindrica con distribuzione ad aste e bilancieri e misure caratteristiche soltanto lievemente sottoquadre. L&rsquo;alesaggio di 67 mm era infatti abbinato a una corsa di 70. La trasmissione primaria era a catena, e il cambio con presa diretta. L&rsquo;albero a gomiti monolitico poggiava su quattro supporti di banco tra i quali i due centrali erano dotati di bronzine. Le bielle forgiate erano in lega di alluminio al rame e avevano una lunghezza pari al doppio della corsa. Le punterie e le aste venivano azionate da due alberi a camme piazzati nel basamento. La lubrificazione era a carter secco. La potenza del modello di serie veniva indicata in 58 cavalli a 5850 giri/min. In Italia ottennero vari successi le moto ottimamente preparate dall&rsquo;importatore Bepi Koelliker. La Laverda si impose rapidamente come una realt&agrave; con la quale nelle gare di Endurance e in quelle per le derivate dalla serie tutti dovevano fare i conti. Robustissime e affidabili, le 750 bicilindriche della Casa di Breganze andarono alla grande nelle 500 chilometri nostrane, mentre all&rsquo;estero si imposero nella 24 Ore di Barcellona (1971) e in quella di Oss, in Olanda, facendosi valere anche al Bol d&rsquo;Or. Il motore, con alesaggio di 80 mm e corsa di 74 mm, era ampiamente surdimensionato in numerosi suoi componenti. La distribuzione era a due valvole, inclinate tra loro di 70&deg;, con un albero a camme in due parti che veniva mosso da una catena duplex collocata centralmente. Nella testa erano incorporate di fusione due calotte in ghisa nelle quali erano ricavate le pareti delle camere di combustione, ma anche le sedi delle valvole e il foro per la candela. L&rsquo;albero a gomiti era di tipo composito e poggiava su quattro supporti di banco muniti di cuscinetti a rotolamento. Le bielle, forgiate in acciaio da cementazione, lavoravano alla testa su rullini ingabbiati ed erano lunghe 1,96 volte la corsa. La lubrificazione era a carter umido, con pompa a ingranaggi. L&rsquo;olio che fuoriusciva dai due cuscinetti di banco centrali raggiungeva i perni di biella grazie a due convogliatori centrifughi vincolati ai volantini dell&rsquo;albero. La trasmissione primaria era a catena e il cambio era del tipo con presa diretta. Le moto italiane che negli anni Settanta si impegnarono maggiormente nell&rsquo;Endurance, ottenendo anche i migliori risultati, furono le Ducati bicilindriche. Nate con una cilindrata di 750 cm&sup3;, entrarono in produzione nel 1971 con il modello GT, rapidamente seguito dalla 750 Sport, affiancata (e ben presto sostituita) nel 1973 dalla ben pi&ugrave; performante Super Sport, con distribuzione desmodromica in versione monoalbero, gi&agrave; utilizzata sulle monocilindriche della serie a carter larghi (250, 350 e 450). Il motore della 750 aveva un&rsquo;architettura a V di 90&deg;, subito definita a L dato che un cilindro era pressoch&eacute; verticale e l&rsquo;altro orizzontale. Grazie a questo schema costruttivo si poteva disporre di un ottimo raffreddamento e di una buona equilibratura. In ogni testa erano alloggiate due valvole, inclinate tra loro di 80&deg;, che venivano comandate sia in apertura che in chiusura da bilancieri azionati dall&rsquo;unico albero a camme. A sua volta, quest&rsquo;ultimo era mosso da un sistema ad alberello e coppie coniche comandato direttamente dall&rsquo;albero a gomiti. I pistoni forgiati erano alloggiati in cilindri in lega di alluminio muniti di canna in ghisa. L&rsquo;albero a gomito era in tre parti unite per forzamento alla pressa, e lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. La trasmissione primaria era a coppia di ingranaggi e il cambio del tipo con presa diretta, di conseguenza l&rsquo;albero a gomito ruotava in senso inverso rispetto a quello in cui giravano le ruote. L&rsquo;alesaggio e la corsa erano rispettivamente di 80 e 74,4 mm. La moto vincitrice a Barcellona nel 1973 venne maggiorata a 864 cm&sup3; aumentando l&rsquo;alesaggio di 6 mm, e inoltre aveva gli scarichi alti. Quella che trionf&ograve; con media da record due anni dopo aveva il basamento tagliato lateralmente a livello della coppa, cosa che consentiva di disporre in basso i tubi di scarico senza il rischio di contatti con l&rsquo;asfalto in piega. Pure in questo caso la cilindrata era di 864 cm&sup3;. Per inciso, il 1975 fu un anno ricco di successi per le bicilindriche Ducati, che si imposero anche a Daytona e nel Trofeo maxi-moto.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Guzzi e Bultaco  Le Guzzi a V di 90&deg; mostrarono il loro valore in pi&ugrave; occasioni al Bol d&rsquo;Or. Dotate di distribuzione ad aste e bilancieri, con due valvole in testa inclinate di 70&deg;, avevano l&rsquo;albero a gomito in un sol pezzo che lavorava interamente su bronzine. Merita infine di essere ricordata la semplice, robusta e leggera Bultaco 360 che vinse al Montjuic nel 1972. Ultima rappresentante dei motori due tempi nelle competizioni di questo tipo, aveva un motore monocilindrico di schema convenzionale, con un alesaggio di 83,7 mm e una corsa di 64, che derivava da quello impiegato sulla Pursang da Cross. Il punto di forza era la guidabilit&agrave;, che la rendeva decisamente adatta a un circuito come quello spagnolo.        

Parecchie Case del Vecchio Continente si impegnarono nelle corse di durata: le proposte di Ducati, Triumph, Laverda, Guzzi e Bultaco

Gli anni d'oro delle europee dell'Endurance | Tecnica

        La Honda CB 750 &egrave; stata un&rsquo;autentica pietra miliare. Con lei iniziarono varie ere: quella delle quadricilindriche, quella degli avviamenti elettrici finalmente efficienti nonch&eacute; quella dei freni a disco a comando idraulico. Moto a quattro cilindri in linea ce ne erano state, e non poche, nell&rsquo;anteguerra, tuttavia con un&rsquo;architettura in linea longitudinale. Quelli in linea trasversale (ovvero &ldquo;frontemarcia&rdquo;, come si diceva allora) erano soltanto raffinati e costosi modelli destinati a gareggiare nei Gran Premi. Freni a disco se ne erano gi&agrave; visti, sporadicamente, ma avevano un&rsquo;efficienza modesta (anche perch&eacute; erano quasi tutti a comando meccanico) e non si erano realmente affermati. In quanto all&rsquo;avviamento elettrico, i sistemi impiegati fino ad allora (Laverda, Guzzi&hellip;) prevedevano batterie e motorini di origine auto e quindi grossi e pesanti. Inoltre, in alcuni casi, quelli dei costruttori europei lasciavano molto a desiderare in quanto ad affidabilit&agrave;. La Honda CB offriva tutto questo in chiave moderna, dedicata e straordinariamente efficace. Naturalmente tutto funzionava in maniera impeccabile, non vi erano trasudi di olio e le vibrazioni erano ridotte ai minimi termini. Passa alla prossima pagina &nbsp; La Honda CB 750   Il motore era un capolavoro di razionalit&agrave; costruttiva. Non mancavano le scelte di compromesso, effettuate sempre con l&rsquo;obiettivo di ottenere i migliori risultati possibili con un dato schema o una determinata soluzione. Una scelta particolare si aveva nella trasmissione primaria: tra l&rsquo;albero a gomiti e il primario del cambio ci doveva essere una certa distanza, e per la presa di moto si era scelta la posizione centrale. Inevitabile fare ricorso a una primaria a catena: venne scelto il tipo a rulli, utilizzato in maniera inconsueta. Niente duplex o triplex, infatti, ma due catene affiancate (con unico tenditore, purtroppo). Centralmente sull&rsquo;albero a gomiti era ricavata anche la ruota dentata che azionava la catena di comando della distribuzione monoalbero. Poich&eacute; i supporti di banco erano cinque, significa che c&rsquo;era una notevole distanza tra i due centrali. Non era quindi un motore da corsa&hellip; Nella testa, fusa in conchiglia nell&rsquo;usuale lega di alluminio ad alto tenore di silicio, erano alloggiate due valvole con un diametro di 32 mm all&rsquo;aspirazione e di 28 allo scarico. L&rsquo;albero a camme azionava le valvole per mezzo di bilancieri a due bracci in acciaio, con riporto di cromo duro sul pattino di contatto con la camma. L&rsquo;angolo tra le valvole era ragionevolmente contenuto in 58&deg;. Nel blocco cilindri in lega di alluminio erano inserite con interferenza le canne in ghisa all&rsquo;interno delle quali si muovevano i pistoni. Questi ultimi, fusi in conchiglia, avevano il cielo piano e il mantello intero, salvo due leggerissime sfiancature all&rsquo;esterno delle portate per lo spinotto. L&rsquo;albero a gomiti era forgiato in acciaio e lavorava interamente su bronzine. Questa scelta indicava una nuova strada per i policilindrici, che nel giro di pochi anni sarebbe stata imboccata anche dagli altri costruttori. Sia i perni di banco che quelli di biella avevano un diametro di 36 millimetri. Le bielle, esse pure in acciaio, avevano una lunghezza di 120 mm ed erano vincolate ai pistoni da spinotti del diametro di 15 mm. Come nelle tradizioni della Casa, il basamento si apriva secondo un piano orizzontale che tagliava a met&agrave; i supporti di banco. Nel periodo iniziale di produzione, per realizzare il basamento si fece ricorso alla fusione in terra. Per questa ragione i primissimi esemplari della CB 750, oggi molto ricercati, sono noti come &ldquo;sand cast&rdquo; engine models. La lubrificazione era a carter secco con due pompe a lobi di grande portata e serbatoio collocato sotto la sella. Le misure caratteristiche del motore erano soltanto leggermente sottoquadre, con un alesaggio di 61 millimetri e una corsa di 63. La potenza delle prime versioni veniva indicata in 65 cavalli a 8000 giri/ min, di conseguenza la velocit&agrave; media del pistone era di 16,8 m/s mentre la potenza specifica era di 88,3 CV/litro. Le prestazioni erano superiori alla media, pur senza essere strabilianti, e la &ldquo;tenuta&rdquo; allo sforzo era straordinaria. Si poteva viaggiare tutto il giorno a elevata velocit&agrave; senza alcun problema.&nbsp;  Passa alla prossima pagina &nbsp; Honda CB 750, il debutto in gara  Il debutto in una gara di importanza internazionale avvenne, inaspettatamente, al Bol d&rsquo;Or che si corse a Montlh&eacute;ry nel settembre del 1969. Alla gara furono iscritte, non in forma ufficiale bens&igrave; attraverso l&rsquo;importatrice francese Japauto, tre Honda 750. Quella di punta era affidata alla coppia Rougerie-Urdich, che vinse senza problemi. Questa moto aveva il motore praticamente di serie ed era stata dotata di quattro scarichi a tromboncino e di un &ldquo;kit racing&rdquo; costituito da sella monoposto, serbatoio e carenatura. Funzion&ograve; impeccabilmente per tutta la gara. La Honda si era ritirata dall&rsquo;attivit&agrave; agonistica al termine della stagione 1968. Per il 1970 fece uno strappo alla regola e schier&ograve; alcune moto ufficiali alla prestigiosa 200 Miglia di Daytona. La corsa fu in pratica una gara a eliminazione con le velocissime BSA/Triumph tricilindriche che ebbero problemi di surriscaldamento e le Honda che si ritirarono una dopo l&rsquo;altra. A eccezione di quella del veterano Dick Mann, che arriv&ograve; al traguardo con soltanto pochi secondi di vantaggio e con il motore che stava per rendere l&rsquo;anima. Una vittoria agevolata da un pizzico di fortuna e molto di misura ma che comunque ebbe vasta eco. Sulla pista americana la Honda sarebbe tornata a vincere soltanto molti, molti anni dopo &ndash;&nbsp;nel 1985 con Freddie Spencer &ndash; e con una moto completamente diversa. Della Daytona la Casa costru&igrave; pochissimi esemplari (pare sei ma c&rsquo;&egrave; chi parla di nove-dieci). Per i piloti privati svilupp&ograve; una serie di parti speciali in modo da trasformare una moto stradale di serie nella Senior. In Italia l&rsquo;importatore ne fece arrivare alcune che affid&ograve; a concessionari e a un paio di team selezionati. Tuttavia alla 200 Miglia di Imola del 1972 non brillarono certo&hellip; In seguito le Honda 750 furono impiegate da diversi piloti, spesso con forte appoggio degli importatori. In Italia, nelle gare per le derivate di serie non ottennero risultati di particolare rilievo. Preparatori ce n&rsquo;erano e in quanto a parti speciali, non mancavano, anche grazie al mitico Pop Yoshimura. Tuttavia Triumph, Laverda e Guzzi avevano tutto sommato qualcosa in pi&ugrave;. Ben presto i concessionari, come la famosa Samoto, e i preparatori che lavoravano sulle Honda giustamente concentrarono le loro attenzioni sulla 500. Le 750 hanno continuato a essere grandi protagoniste nell&rsquo;Endurance, specialit&agrave; molto popolare e seguita in Francia. Proprio la Japauto si impose nel Bol d&rsquo;Or del 1972 e 1973 con moto derivate dalla CB 750 ma con una cilindrata ben superiore ai 900 cm&sup3;. Poi per&ograve; arriv&ograve; la Kawasaki e domin&ograve; la corsa francese per i due anni successivi. Per tornare a vincere, alla Honda occorreva una moto con motore profondamente riveduto nei principali componenti, a cominciare dalla testa e dagli organi della distribuzione. Verso la fine del 1975 venne fondata la HERT (Honda Endurance Racing Team) con il varo di un programma per realizzare la nuova moto, che debutt&ograve; nell&rsquo;aprile successivo rivelandosi subito formidabile. Della CB 750 non rimanevano che lo schema costruttivo generale e la disposizione degli organi meccanici, eccezion fatta per quelli della distribuzione. La nuova testata alloggiava quattro valvole per cilindro, comandate da due alberi a camme che agivano su punterie a bicchiere e che venivano mossi da tre ingranaggi azionati da una catena duplex. Le valvole di aspirazione erano da 28 mm e quelle di scarico da 24. Una soluzione importante, che si distaccava completamente da quella originale, era costituita dalla trasmissione primaria, divenuta a terna di ingranaggi e non pi&ugrave; affidata a due catene a rulli. L&rsquo;albero a gomiti era ricavato dal pieno e il blocco cilindri era costituito da una nuova fusione. Le pompe dell&rsquo;olio erano state maggiorate e il circuito venne dotato di un radiatore abbondantemente dimensionato. Nella versione che trionf&ograve; nel campionato Endurance del 1976 vincendo tutte le gare, la RCB 1000 (nota anche come RCB 941) aveva un alesaggio di 68 mm e una corsa di 64,8, per una cilindrata di 941 cm&sup3;. La potenza veniva indicata in 115 CV a 9500 giri/min. La velocit&agrave; media del pistone era 20,5 metri al secondo, la potenza specifica 122 CV/litro e la pressione media effettiva 11,4 bar. Di questa moto pare siano stati costruiti sei esemplari (qualcuno parla di &ldquo;una decina scarsa&rdquo;). La RCB 1000 vinse a mani basse anche il campionato successivo, ma poi arrivarono le formidabili Kawasaki in nuova versione e la musica cambi&ograve;.        

Diede il via all&rsquo;era delle quadricilindriche, ma anche a quelle degli avviamenti elettrici efficienti e dei freni a disco a comando idraulico

Honda CB 750, tre volte pioniera | Tecnica

        L&rsquo;evoluzione motoristica viene ben descritta da quella di alcuni importanti parametri, ai quali non di rado si fa riferimento in queste pagine. Occorre comunque dire che mentre alcuni di essi nel corso degli anni (anzi, dei decenni) sono variati notevolmente, altri lo hanno fatto in misura contenuta. In diversi casi non ci si &egrave; allontanati da un certo valore, dopo averlo raggiunto. Per rendere l&rsquo;idea, da diverso tempo le pressioni medie effettive dei motori di serie non sono aumentate in misura realmente sensibile. Passa alla prossima pagina Le frizioni a secco e bagno d'olio | Officina &nbsp; Il rapporto C/D  Il rapporto corsa/alesaggio, indicato in genere come C/D, &egrave; in genere il primo parametro motoristico che si prende in considerazione quando si effettuano valutazioni o confronti. Come noto, vengono detti quadri i motori nei quali l&rsquo;alesaggio e la corsa hanno lo stesso valore, superquadri quelli nei quali l&rsquo;alesaggio &egrave; superiore alla corsa e sottoquadri quelli nei quali avviene il contrario. Negli anni Cinquanta i motori a corsa lunga erano ancora piuttosto diffusi. Gli altri erano quadri (o quasi) oppure, in qualche caso, soltanto lievemente superquadri. Pure per quanto riguarda le moto da GP i motori sottoquadri non mancavano. Nelle famose Gilera e MV Agusta quadricilindriche e nelle Mondial 125 di quel periodo la corsa era superiore all&rsquo;alesaggio, e non di poco. Nel 1957, per realizzare la 250 derivandola direttamente dalla 125, la Mondial aument&ograve; notevolmente l&rsquo;alesaggio, portandolo da 53 a 75 millimetri, senza modificare la corsa, rimasta di 56 mm. In questo modo stabil&igrave; un autentico record in fatto di rapporto C/D: un motore cos&igrave; superquadro non si era mai visto. La moto conquist&ograve; l&rsquo;iride ma anche il monocilindrico Guzzi 350, che era sottoquadro, lo fece nella sua classe&hellip; L&rsquo;ultima moto a corsa lunga a imporsi nel Mondiale fu la MV Agusta 500 nel 1965 (52 x 58 mm). Le Honda policilindriche che tanto vinsero negli anni Sessanta erano superquadre, ma non molto. Sulle scelte dei tecnici ha influito sensibilmente la necessit&agrave; di contenere l&rsquo;ingombro trasversale del motore. Pi&ugrave; di tanto non ci si poteva spingere anche per non ridurre eccessivamente la distanza tra le canne dei cilindri; non si deve qui dimenticare che il raffreddamento era ad aria. In seguito le moto da competizione sono diventate tutte a due tempi e per fare considerazioni sull&rsquo;evoluzione negli anni del rapporto C/D nei motori quattro tempi &egrave; necessario fare riferimento ai soli modelli stradali di serie. Alla fine degli anni Settanta per le grosse quadricilindriche si avevano mediamente valori dell&rsquo;ordine di 0,90-1,10 ma un decennio dopo tale rapporto &egrave; sceso a 0,65&ndash;0,80. Fondamentali sono state la ricerca di potenze specifiche sempre maggiori e la comparsa di modelli supersportivi. L&rsquo;avvento generalizzato del raffreddamento a liquido ha aiutato molto in questo senso. In seguito si &egrave; scesi ancora. Sono tornati sulla scena agonistica i 4T ma con un alesaggio massimo limitato dal regolamento. E poich&eacute; la cilindrata &egrave; fissa, &egrave; vincolata anche la corsa. Il rapporto C/D delle MotoGP si &egrave; attestato cos&igrave; sul valore odierno di 0,598. Riducendo tale rapporto si pu&ograve; diminuire l&rsquo;altezza del motore. A pari regime di rotazione e con la stessa cilindrata unitaria, inoltre, si diminuisce la velocit&agrave; media del pistone. Questo significa che si possono raggiungere regimi di rotazione pi&ugrave; elevati a parit&agrave; di sollecitazioni meccaniche. Aumentando l&rsquo;alesaggio diventa possibile installare valvole pi&ugrave; grandi. Si hanno dunque maggiori sezioni di passaggio, a tutto vantaggio della respirazione agli alti regimi. In pratica &egrave; maggiore la potenza specifica ottenibile. L&rsquo;albero diventa pi&ugrave; rigido e il ricoprimento tra i perni diventa maggiore. Le bielle possono essere pi&ugrave; leggere.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Motori a corsa lunga  D&rsquo;altro canto pure i motori a corsa lunga, anche se inferiori per quanto riguarda le prestazioni ottenibili, hanno i loro punti di forza. Importante &egrave; la maggiore compattezza della camera di combustione, ovvero il rapporto superficie/volume pi&ugrave; basso. Il percorso che deve compiere il fronte di fiamma &egrave; minore e sono inferiori anche i volumi nocivi. Il miglior rendimento termico che si pu&ograve; ottenere si traduce in consumi minori. Il motore pu&ograve; avere una minore larghezza (se, come usuale in campo motociclistico, &egrave; montato trasversalmente). La distanza tra i supporti di banco pu&ograve; essere minore e i pistoni possono essere pi&ugrave; leggeri. Spesso da un modello base vengono derivati altri motori con cilindrata diversa agendo sull&rsquo;alesaggio; oggi per&ograve; questa strada non &egrave; sempre praticabile per ragioni di ingombro (distanza tra le canne). Oppure si agisce sulla corsa. In alcuni casi, per&ograve;, si possono modificare entrambi questi parametri. Vediamo come si procede e quali sono le conseguenze. Una cosa da tener presente &egrave; che le sezioni aumentano con il quadrato del diametro mentre i volumi crescono con il cubo. Ci&ograve; significa che se si aumenta la cilindrata, mantenendo le valvole originali il motore pu&ograve; non respirare come prima agli alti regimi. Pu&ograve; anche accadere, per&ograve;, che le valvole risultino meno schermate dalla vicinanza con le pareti del cilindro e che il coefficiente di efflusso migliori. Per aumentare la corsa occorre cambiare l&rsquo;albero a gomiti (o, se &egrave; composito, riposizionare il perno di manovella). Dopo, per&ograve;, &egrave; necessario montare bielle pi&ugrave; corte o pistoni con lo spinotto pi&ugrave; in alto. E, naturalmente, considerare con grande precisione il rapporto di compressione, che varia anche mantenendo la stessa capacit&agrave; delle camere di combustione, dato che cambia il volume del cilindro. Un altro punto al quale si deve prestare grande attenzione quando si aumenta la corsa &egrave; la distanza tra i vari componenti, con particolare riferimento a quella tra la testa di biella e gli ingranaggi montati sull&rsquo;albero primario del cambio. Si deve anche considerare che il diverso rapporto tra la corsa e la lunghezza della biella determina una variazione dell&rsquo;inclinazione di quest&rsquo;ultima.  I riporti superficiali sul mantello | Officina       

Pregi e difetti delle due scelte: l&rsquo;evoluzione motoristica descritta dal parametro principale, il rapporto C/D

Motori a corsa lunga oppure superquadri? | Officina

        Da parecchi anni a questa parte tutte le moto sportive e da competizione sono dotate di teste con quattro valvole per cilindro. Le cinque valvole sono state un&rsquo;interessante proposta alternativa, ma complessivamente si sono dimostrate inferiori e sono praticamente uscite di scena. Il campo di impiego si &egrave; allargato e oggi parecchi modelli non soltanto di medie prestazioni, ma persino economici, sono a quattro valvole. Di questa soluzione, adottata universalmente quando la potenza specifica supera un determinato valore, si &egrave; parlato spesso, ma forse mai in maniera completa, ovvero dal punto di vista non soltanto fluidodinamico ma anche meccanico e termico. Continua nella prossima pagina I riporti superficiali sul mantello | Officina &nbsp; I motori a 4 valvole per cilindro  &Egrave; chiaro a tutti che passando da due a quattro valvole (due di scarico e due di aspirazione, ma qui facciamo riferimento soltanto a queste ultime) &egrave; possibile far respirare meglio il motore grazie alle maggiori sezioni a disposizione per il passaggio dei gas. La geometria parla chiaro: con le valvole parallele, sfruttando in maniera ottimale lo spazio a disposizione, l&rsquo;aumento della sezione geometrica disponibile per l&rsquo;aria che entra nel cilindro pu&ograve; essere superiore al 30%. Inclinando le valvole si possono ottenere valori ancora maggiori. Ci&ograve; che interessa la respirazione del motore non &egrave; per&ograve; tanto la sezione geometrica a disposizione quanto quella efficace, cio&egrave; &ldquo;utile&rdquo;. &Egrave; inutile avere un foro grande se poi lo si utilizza male! E allora entra in gioco anche il coefficiente di efflusso. Come noto, esso &egrave; costituito dal rapporto tra la quantit&agrave; di gas che passa nell&rsquo;unit&agrave; di tempo e quella che dovrebbe passare nelle stesse condizioni, ovvero con la medesima differenza di pressione. Impiegando due valvole il coefficiente di efflusso &egrave; pi&ugrave; elevato di quello che si ha con quattro (ci&ograve; riduce soltanto in una lieve misura il vantaggio offerto da queste ultime). I valori usualmente raggiunti da tale coefficiente nei moderni motori a due valvole sono dell&rsquo;ordine di 0,65: significa che l&rsquo;area efficace &egrave; pari soltanto a circa due terzi dell&rsquo;area geometrica. In motori particolarmente sviluppati sotto l&rsquo;aspetto fluidodinamico, come i V8 del campionato Nascar (i cui condotti sono disgustosi ma vengono sfruttati in maniera straordinaria), pare si possa arrivare dalle parti di 0,70. Nei motori a quattro valvole delle moto sportive il coefficiente di efflusso &egrave; in genere di 0,60-0,63. Il fatto che esso sia leggermente inferiore &egrave; dovuto alla maggiore &ldquo;schermatura&rdquo; da parte delle pareti del cilindro e al disturbo reciproco tra i flussi nella zona in cui le valvole sono pi&ugrave; vicine. Ricordo che in questo servizio ci riferiamo specificamente alle valvole di aspirazione. La sezione utile si ottiene moltiplicando quella geometrica per il coefficiente di efflusso. Occorre qui sottolineare che tale coefficiente varia con l&rsquo;alzata della valvola (i valori pi&ugrave; alti vengono raggiunti alle piccole alzate). Ai fini della respirazione del motore il vantaggio che si ottiene passando dalle due alle quattro valvole non si limita a maggiori sezioni utili alla massima alzata. In molti casi sembra che non venga sottolineato secondo i meriti il fatto che l&rsquo;alzata ottimale sia nettamente inferiore a quella che si ha con le due valvole. Occorre considerare qui la legge del moto delle valvole. Come noto, quando si raggiunge una certa alzata (in genere dell&rsquo;ordine del 27-30% del diametro del fungo), la sezione di passaggio tra valvola e sede eguaglia la sezione minima del condotto (che in genere &egrave; posta poco a monte della sede). Oltre tale alzata &ldquo;ottimale&rdquo; il fattore limitante per il passaggio dei gas diventa quindi la sezione ristretta del condotto. Va considerato dunque il rapporto tra l&rsquo;alzata e il diametro del fungo. Poich&eacute; con le quattro valvole quest&rsquo;ultimo &egrave; minore, la stessa l&rsquo;alzata ottimale risulta minore. Con quattro valvole per cilindro, se tale alzata viene raggiunta dopo lo stesso angolo di rotazione dell&rsquo;albero a camme, l&rsquo;accelerazione delle valvole stesse sar&agrave; nettamente minore rispetto a quella che si ha con la soluzione a due valvole. Un vantaggio non di poco conto, che consente di impiegare molle con un carico nettamente inferiore e che limita lo stress al contatto tra eccentrico e cedente. Se invece la rapidit&agrave; di sollevamento della valvola &egrave; la stessa, l&rsquo;alzata ottimale viene raggiunta con un minore angolo di rotazione dell&rsquo;albero. &Egrave; a questo punto chiaro perch&eacute; con il passaggio dalle due alle quattro valvole per cilindro in molti casi sono state adottate fasature di distribuzione meno spinte rispetto a quelle utilizzate nei precedenti motori a due valvole, e questo pur ottenendo prestazioni superiori. Si poteva ottenere una curva di coppia pi&ugrave; &ldquo;piena&rdquo; con un campo di utilizzo pi&ugrave; ampio. L&rsquo;area sotto la curva delle alzate indica la sezione di passaggio a disposizione dei gas.  Continua nella prossima pagina &nbsp; I motori a 4 valvole per cilindro: le caratteristiche  Osservando i grafici si nota spesso che con le quattro valvole, essendo inferiore l&rsquo;alzata, essa &egrave; minore. Si deve per&ograve; tener presente che essa va moltiplicata per due perch&eacute; il numero delle valvole di aspirazione &egrave; doppio. Poich&eacute; con le quattro valvole le sezioni di passaggio sono maggiori, il lavoro di pompaggio risulta inferiore, rispetto ai motori a due valvole, e la cosa &egrave; particolarmente sensibile agli alti regimi, ove esso pu&ograve; risultare pi&ugrave; che dimezzato. Le maggiori sezioni a disposizione fanno s&igrave; che a pari regime di rotazione la velocit&agrave; dei gas risulti minore. Quella pi&ugrave; vantaggiosa ai fini dello sfruttamento dell&rsquo;inerzia delle colonne gassose, e quindi del rendimento volumetrico, viene perci&ograve; raggiunta a un regime pi&ugrave; elevato. Insomma, i motori a quattro valvole respirano assai meglio in alto. Molto importante &egrave; la disposizione centrale della candela. Grazie a essa la distanza che il fronte della fiamma deve compiere per propagare la combustione fino al suo completamento &egrave; minore, a parit&agrave; di alesaggio, rispetto a quella che si ha quando le valvole sono due. In quest&rsquo;ultimo caso, infatti, per poter montare valvole molto grandi, la distanza tra le sedi &egrave; ridotta al minimo e non vi &egrave; spazio per la candela. Con la candela centrale la combustione pu&ograve; essere pi&ugrave; rapida ed &egrave; possibile adottare un anticipo di accensione minore. La forma della camera, pur essendo assai buona, non &egrave; quella ideale, ossia emisferica. Tutto sommato il rendimento termico ottenibile &egrave; analogo. A tale proposito si deve inoltre considerare che con le quattro valvole &egrave; possibile dotare la camera di aree di squish di notevole estensione e disposte in maniera favorevole. Valvole pi&ugrave; piccole, come ovvio, hanno un peso minore e questo vale anche per gli organi interposti, ovvero le punterie (o i bilancieri), gli scodellini e la parte mobile delle molle. Significa che adottando quattro valvole al posto di due, le forze d&rsquo;inerzia in gioco sono notevolmente minori ed &egrave; possibile raggiungere regimi di rotazione pi&ugrave; elevati. Il carico delle molle pu&ograve; essere inferiore. Le valvole sono di pi&ugrave; ma, a parit&agrave; di accelerazioni e di rapporto tra alzata massima e diametro, la forza necessaria per aprire ciascuna di esse &egrave; minore. Complessivamente, comunque, le perdite meccaniche per l&rsquo;azionamento della distribuzione sono leggermente maggiori. Il volume, e quindi la massa, variano con il cubo del diametro mentre la superficie, a parit&agrave; di forma, cambia soltanto con il quadrato. Di conseguenza, valvole pi&ugrave; piccole possono lavorare a temperatura inferiore. Tutto ci&ograve; &egrave; importante per le valvole di scarico, molto sollecitate termicamente. Occorre ricordare che il passaggio dalle due alle quattro valvole comporta una superiore complessit&agrave; e costi pi&ugrave; elevati: &egrave; infatti maggiore il numero sia dei componenti che delle lavorazioni. In particolare, in abbinamento con angoli tra le valvole piuttosto contenuti, come quelli adottati da tempo nei motori pi&ugrave; performanti (e non soltanto), le teste a quattro valvole diventano troppo &ldquo;affollate&rdquo; per riuscire a realizzare adeguati passaggi per l&rsquo;aria di raffreddamento, che non pu&ograve; avvicinarsi alle zone pi&ugrave; sollecitate termicamente. La situazione &egrave;, come ovvio, pi&ugrave; critica se la potenza specifica &egrave; elevata: di conseguenza diventa d&rsquo;obbligo passare al raffreddamento a liquido. In passato le distribuzioni a quattro valvole per cilindro erano state adottate pi&ugrave; o meno saltuariamente, o comunque non erano riuscite a imporsi in maniera universale, almeno prima di arrivare alla definitiva affermazione sulle moto da GP negli anni Sessanta e, diverso tempo dopo, anche su quelle prodotte in serie. In campo motociclistico ricordiamo almeno le bicilindriche Indian e Harley-Davidson da corsa degli anni Dieci, la Guzzi C4V del decennio successivo e poi le famose Rudge degli anni Trenta.&nbsp; Il grande rilancio si &egrave; avuto per merito della Honda che, con le sue mitiche moto da Gran Premio, ha ottenuto straordinari successi negli anni Sessanta mostrando la strada a tutti gli altri costruttori impegnati nel Mondiale. Tra i modelli di serie, dopo la Honda XL 250 apparsa alla fine del 1972 e la Yamaha TX 500 dell&rsquo;anno successivo, l&rsquo;affermazione definitiva delle quattro valvole &egrave; iniziata a partire dalla fine degli anni Settanta.  Le corse in Salita negli anni '60 | Tecnica       

Se queste sono parallele, sfruttando in maniera ottimale lo spazio a disposizione, l&rsquo;aumento della sezione disponibile per l&rsquo;aria che entra nel cilindro pu&ograve; superare il 30%

I motori a 4 valvole per cilindro: a cosa servono, i vantaggi | Tecnica

        In Italia il Cross &egrave; divenuto davvero popolare con un certo ritardo rispetto ai Paesi nordici e all&rsquo;Inghilterra. Nel Mondiale di Velocit&agrave; le nostre Case vincevano titoli a ripetizione ma nel Motocross hanno impiegato pi&ugrave; tempo per risultare competitive. Anche i nostri piloti (che inizialmente non erano molti) nelle gare internazionali non riuscivano a imporsi, anzi, in genere all&rsquo;estero neanche ci andavano. Sul finire degli anni Cinquanta la situazione and&ograve; migliorando e al Fuoristrada inizi&ograve; a interessarsi un pubblico sempre maggiore. Diversi costruttori allestirono modelli da Cross direttamente derivati dai mezzi di serie, che per tale impiego venivano dotati di sospensioni diverse e di telaio opportunamente rinforzato. Il campionato italiano 500 nacque nel 1953 e quello della 250 tre anni pi&ugrave; tardi. Nella classe maggiore il titolo italiano lo vinse per quattro anni consecutivi la Gilera Saturno, con un modello appositamente allestito dalla Casa. Nelle prime due stagioni della classe 250 a spiccare fu la Mondial con motore monoalbero proveniente direttamente dalla Velocit&agrave; e con telaio realizzato dallo specialista Giuseppe Carr&ugrave;. Nel &rsquo;57 entr&ograve; in scena la Bianchi con una versione da Cross della Tonale monoalbero (in origine di 175 cm&sup3;) che conquist&ograve; il titolo nazionale nei due anni successivi. A un certo punto, vista la crescente popolarit&agrave; del Motocross, alcune Case decisero di realizzare moto specificamente progettate (motore compreso) per tale tipo di impiego. Un impegno economico non indifferente, giustificato per&ograve; dal ritorno pubblicitario e di immagine. Continua nella prossima pagina Le corse in Salita negli anni '60 | Tecnica &nbsp; La Mi-Val  A cimentarsi per prima fu la Mi-Val che, per poter impiegare questa moto tanto nella classe 500 quanto nella 250, ne realizz&ograve; due versioni. Si trattava di una bella monocilindrica, con distribuzione monoalbero comandata a catena pi&ugrave; coppia di ingranaggi e parte ciclistica dovuta al torinese Carr&ugrave;, con il quale era stato stipulato un accordo che prevedeva anche la gestione della squadra. La trasmissione primaria a ingranaggi era posta sul lato sinistro mentre dalla parte opposta vi erano il comando della distribuzione e la pompa dell&rsquo;olio. I due rami della catena passavano entro due caratteristici tubetti, ben visibili sul lato destro del poderoso gruppo testa-cilindro, che nell&rsquo;ultimo periodo di impiego della moto vennero sostituiti da un unico carterino. Nella testa erano alloggiate due valvole sensibilmente inclinate una rispetto all&rsquo;altra. Il sistema di lubrificazione era a carter umido e l&rsquo;accensione a magnete, davanti al basamento. La trasmissione primaria era a ingranaggi e il cambio, del tipo in cascata, aveva quattro marce. Il telaio, di disegno molto lineare, era a doppia culla continua. La Mi-Val 250 aveva un alesaggio di 69 mm e una corsa di 66. Per gareggiare nella 500 vennero impiegate una versione di 350 cm&sup3; della stessa moto (con misure di 77 x 76,5 mm) poi nel 1959 una con cilindrata portata a 400 cm&sup3;: i due modelli conquistarono un titolo italiano a testa. Al termine del 1959 l&rsquo;azienda bresciana, che stava iniziando a perdere interesse per il settore motociclistico, abbandon&ograve; l&rsquo;attivit&agrave; agonistica.  Continua nella prossima pagina &nbsp; Cross: la Bianchi  Nel 1960 la Bianchi conquist&ograve; il titolo della 250 e si piazz&ograve; al secondo posto nella 500 con due moto di nuova progettazione, eguali praticamente in tutto salvo che nelle misure caratteristiche e, quindi, nella cilindrata. Si trattava di due monocilindriche, che avevano esordito gi&agrave; nel 1959, dalla tecnica raffinata, pi&ugrave; da GP che da Fuoristrada: non c&rsquo;era da stupirsi, dato che erano state progettate dal tecnico Lino Tonti, il quale, da buon romagnolo, le corse di Velocit&agrave; le aveva nel sangue. Nel motore spiccava la distribuzione con due alberi a camme in testa molto vicini tra loro e comandati da un alberello verticale, con due coppie di ingranaggi conici alle estremit&agrave;. La 250 aveva un alesaggio di 71 mm e una corsa di 62 mm ed erogava circa 26 cavalli. La versione di cilindrata maggiore nacque come 350 ma poi sal&igrave; a 400 (82 x 74 mm), con una potenza dell&rsquo;ordine di 33 cavalli. Il basamento era fuso in lega di alluminio mentre i coperchi laterali (e il castello della distribuzione fissato sopra la testa) erano in magnesio. Il cilindro, che nella versione di maggiore cilindrata aveva due alette in pi&ugrave;, era in lega di alluminio con canna riportata in ghisa. L&rsquo;accensione, del tipo a ruttore e batteria, era doppia. Pure in questo caso la trasmissione primaria era a ingranaggi e la lubrificazione era a carter umido. Il cambio era a cinque marce. Nella parte ciclistica faceva bella mostra di s&eacute; il telaio in tubi di acciaio con doppia culla inferiore e traliccio superiore (a doppia triangolatura). La forcella era un&rsquo;Arces a perno avanzato e i freni, del diametro di 180 mm, erano gli stessi impiegati sulla MT 61 militare. Per le sue caratteristiche di erogazione questa moto spesso sollevava grandi quantit&agrave; di ghiaia e terriccio in accelerazione e per questo venne soprannominata &ldquo;Raspaterra&rdquo;.  Continua nella prossima pagina &nbsp; L'Aermacchi  Sebbene le sue moto da Cross partissero da un modello di serie, l&rsquo;Aermacchi ottenne risultati eccellenti tanto nella classe 250 quanto nella 500, diventando la moto da battere in campo nazionale. La storia dei motori a cilindro orizzontale costruiti sulle rive del Lago di Varese inizi&ograve; alla fine del 1955, con la presentazione della Chimera 175, una moto interamente carrozzata dotata di uno styling avveniristico. Da essa derivarono le successive moto &ldquo;nude&rdquo;, che ebbero una diffusione di gran lunga superiore. Alla versione originale del motore, di 175 cm&sup3;, ben presto se ne aggiunse un&rsquo;altra di 250 cm&sup3;, capace di riscuotere molto pi&ugrave; successo. Dopo che a met&agrave; del 1958 vennero realizzati tre prototipi, la prima Ala Azzurra da Cross apparve l&rsquo;anno successivo e venne usata semiufficialmente nel campionato italiano 250. Nel 1960 la partecipazione della Casa divenne ufficiale e arriv&ograve; il primo titolo nazionale, nella 500 (ove veniva impiegata una versione con alesaggio leggermente maggiorato in modo da ottenere una cilindrata di 253 cm&sup3;). Il successo venne bissato l&rsquo;anno seguente, quando l&rsquo;Aermacchi conquist&ograve; anche il primo dei suoi tre titoli della 250. Il motore, capolavoro di Alfredo Bianchi, aveva la distribuzione ad aste e bilancieri con due valvole inclinate tra loro di 67&deg;. In pratica veniva impiegato lo stesso motore delle prime Ala d&rsquo;Oro da Velocit&agrave;. Il cilindro era in ghisa e l&rsquo;albero a gomito composito (tre parti unite per forzamento alla pressa) girava all&rsquo;indietro, dato che il cambio era con presa diretta e la primaria a coppia di ingranaggi. La lubrificazione era a carter umido e l&rsquo;accensione a ruttore. La versione di 250 cm&sup3; aveva un alesaggio di 66 mm e una corsa di 72 mm ed erogava circa 22 cavalli. Il telaio, nel quale il motore era montato a sbalzo, era in pratica quello delle moto stradali con una serie di modifiche intese a migliorarne la robustezza e la rigidit&agrave;. La forcella era prodotta dall&rsquo;Arces (Ceriani) e i freni dalla Salvai. Nel 1962 fece la sua comparsa un nuovo telaio a doppia culla, opera dello specialista M&uuml;ller. La potenza del motore venne portata a 24 CV a 7500 giri/min. Di questa moto, inizialmente destinata alla sola squadra ufficiale, vennero costruiti circa 25 esemplari.  Continua nella prossima pagina &nbsp; La Guzzi  La Guzzi non si era mai interessata direttamente al Cross. La concessionaria Gamba e Dolza di Torino, che abbinava a un&rsquo;esemplare affezione per il marchio un altrettanto grande ingegno e notevole creativit&agrave;, pensava per&ograve; a come gareggiare in tale specialit&agrave; utilizzando una moto con il marchio della Casa di Mandello. Esisteva una monocilindrica Guzzi di 500 cm&sup3; che poteva essere agevolmente potenziata (almeno entro certi limiti), ma era lunga e mal si prestava all&rsquo;impiego Crossistico, come dimostrato da alcuni tentativi gi&agrave; effettuati. Cos&igrave; i due soci decisero di far realizzare allo specialista M&uuml;ller un bel telaio a doppia culla continua specificamente studiato per il Cross. Per il motore, stando a quanto dichiarato a suo tempo, impiegarono la parte inferiore di quello di un Dondolino sul quale trapiantarono il gruppo termico di un modello Falcone Sport. Per ridurre l&rsquo;ingombro longitudinale il monocilindrico cos&igrave; ottenuto venne fortemente inclinato verso l&rsquo;alto. Questa nuova disposizione fu possibile grazie al fatto che la lubrificazione era a carter secco. Il motore aveva la distribuzione ad aste e bilancieri e le consuete misure caratteristiche delle Guzzi 500 (88x82 mm). La moto, costruita in due soli esemplari, esord&igrave; sul finire del 1962 e gareggi&ograve; con buoni risultati in quella successiva.  Quando la miscela &egrave; magra o ricca? | Officina       

La disciplina visse la diffusione a fine Anni &lsquo;50, grazie anche alle proposte Mi-Val, Aermacchi, Bianchi, fino alla Guzzi

Le pioniere italiane del Cross | Tecnica

        Il prossimo fine settimana tutti gli appassionati di moto hanno un appuntamento segnato in calendario. Si tratta della Motor Bike Expo, presso Veronafiere, che si terr&agrave; da venerd&igrave; 24 a domenica 26 gennaio per quella che sembra essere un&rsquo;edizione da record. Ecco tutte le novit&agrave; e i numeri che lasciano presagire un grande successo. Rispetto al 2024, infatti &egrave; gi&agrave; stato segnato un incremento del 20% in pi&ugrave; della superficie espositiva e ci sar&agrave; addirittura un padiglione in pi&ugrave;. Questo per le 31 case motociclistiche confermate con numerose anteprime mondiali. Saranno pi&ugrave; di 700 gli espositori, provenienti da pi&ugrave; di 20 nazioni per l&rsquo;edizione pi&ugrave; grande mai realizzata, su 120.000 mq e una crescita che si rispecchia anche nella sempre pi&ugrave; importante presenza delle Case Motociclistiche. L'entusiamo per l'edizione MBE 2025  Gli organizzatori Francesco Agnoletto e Paola Somma hanno lavorato per rinnovare completamente il layout della kermesse. Sar&agrave; ottimizzata la disposizione degli espositori, con lo scopo di accogliere le numerose richieste di ampliamento dell&rsquo;area delle grandi aziende. Un altro motivo &egrave; la volont&agrave; di utilizzare al meglio l&rsquo;ingresso Re Teodorico, che Veronafiere ha rinnovato con un importante intervento di restauro e che &egrave; perfettamente collegato con i parcheggi multipiano. Si confermano main partner dell&rsquo;evento Liqui Moly e Virgin Radio. Agnoletto, CEO e fondatore di MBE ha raccontato: &ldquo;Anno dopo anno ci troviamo a lavorare piacevolmente per questo evento, per questa &ldquo;reunion&rdquo; degli amanti della moto. La manifestazione continua a crescere e a darci enorme soddisfazione. La aspettiamo per un anno, ed oramai ne siamo alle porte. Un augurio ai nostri amici motociclisti visitatori: buon divertimento!&rdquo;  Nel dettaglio ecco i numeri dell'evento e alcune delle Case presenti  A far parte di questa edizione 2025 ci saranno 8 padiglioni 6 aree esterne con esibizioni, corsi e show, 31 case motociclistiche e questo significa 12 in pi&ugrave; rispetto al 2024, pi&ugrave; di 3.000 moto in esposizione. Il pubblico potr&agrave; vedere - e toccare - centinaia di modelli della gamma 2025, confermando il proprio ruolo di appassionati estremamente preparati e in grado di fornire alle aziende un autorevole feedback sui prodotti. Tra le Case presenti ci saranno Aprilia, che esporr&agrave; la gamma 2025, su cui spicca la novit&agrave; Tuareg Rally, Benelli, BMW Motorrad con le novit&agrave; GS e l&rsquo;inedita R 12 S, Ducati che avr&agrave; un&rsquo;area indoor dedicata alla &ldquo;Land of Joy&rdquo; di Ducati Scrambler e una zona allestita all&rsquo;esterno per la prova dei modelli Multistrada e Desert X.  E ancora Indian Motorcycle, Harley-Davidson che presenter&agrave; in anteprima mondiale i nuovi modelli 2025, Kawasaki, Moto Guzzi, QJ Motor, Royal Enfield, Triumph e tanti altri. Lo spettacolo MBE &egrave; anche all'esterno&nbsp;  Ci saranno anche tantissime le attivit&agrave; dinamiche nelle aree esterne, con un programma ricco di show, esibizioni, test ride e corsi di guida. Per esempio nell&rsquo;area A1 si potr&agrave; assistere alle evoluzioni dell&rsquo;atleta Samuele Zuccali, pro rider che porter&agrave; a Verona il suo show "Circus Trial Tour&rdquo; che lo vedr&agrave; impegnato a sfidare in diverse prove la forza di gravit&agrave; con uno spettacolo mozzafiato di Trial. Nell&rsquo;area A2 non mancher&agrave; la Scuola Federale FMI per bambini: un&rsquo;opportunit&agrave; unica per i pi&ugrave; piccoli di imparare le basi della guida in sicurezza con il tecnico federale Gianluca Nannelli. Fausto Ricci e Marco Lucchinelli saranno invece due istruttori d&rsquo;eccezione che si dedicheranno a sessioni di guida per le donne che vogliono approcciare alla motocicletta.  L&rsquo;area B, invece, sar&agrave; dedicata all'Off-road, mentre l&rsquo;area C sar&agrave; caratterizzata dalla prova per il pubblico di due progetti che come comun denominatore hanno la propulsione elettrica. Saranno disponibili per il pubblico i demo ride di Retrokit e di Talaria. Inoltre ci sar&agrave; un omaggio a Giovanni Di Pillo con la Crazy Ride che far&agrave; rispolverare agli appassionati i ciclomotori a pedali per una &ldquo;corsa pazza&rdquo; con abbigliamento goliardico e stile creativo. Le due &ldquo;Crazy Ride&rdquo; saranno organizzate sabato alle 14.00 e domenica alle 11.00.  All&rsquo;area D, invece, Yamaha mette a disposizione delle visitatrici di Motor Bike Expo i propri modelli per la prova. Uno staff specializzato di istruttori saranno a disposizione per le future motocicliste che vogliono muovere i primi metri in sella. E nell&rsquo;area D2 ci sar&agrave; lo spettacolo del freestyle con Vanni Oddera e la Crew Daboot e lo Stuntman Show con Riding estremi su mezzi incredibili come le Harley-Davidson di Maurizio Perin. E infine, ma non ultimo , il mondo custom&nbsp;  E ancora il mondo Custom. A Verona, i migliori preparatori d&rsquo;Europa presenteranno le loro creazioni inedite. Tra i protagonisti, vedremo svelare proprio a Verona le prime assolute delle special firmate da Oslo Motor Show, Boccin Custom Cycles, Carbon Visionary, Bad Boys Garage, Northern Growl Garage, Malparidos Custom Garage, Niko Bikes, Archi Garage e molti altri. Insomma, un appuntamento assolutamente da non perdere per tre giorni di emozioni di ogni tipo. Qui potete poter acquistare i biglietti.       

Dal 24 al 26 gennaio l&rsquo;appuntamento &egrave; a Veronafiere, dove ci sar&agrave; un incremento del 20% nell&rsquo;esposizione e un padiglione in pi&ugrave; rispetto al 2024

Motor Bike Expo: i numeri dell’edizione più grande mai realizzata

        Nel 2025 debutter&agrave; la Bagger Racing European Cup, un campionato riconosciuto da FIM Europe e che vede nell&rsquo;exSBK Rub&eacute;n Xaus il suo padrino. Nella serie continentale non saranno solo Harley-Davidson ed Indian a sfidarsi in pista ma in griglia si troveranno anche moto delle case europee e giapponesi. KTM, Pierer: &ldquo;Cerchiamo nuovi investitori per salvare i posti di lavoro&rdquo; Anche in Europa cresce l&rsquo;interesse verso le Baggers Da quando negli States &egrave; stata corsa la prima gara d&rsquo;esibizione a Laguna Seca nel 2020, le Baggers hanno raccolto sempre pi&ugrave; interesse sia oltre oceano dove ormai si corre stabilmente dal 2021 il &ldquo;King of the Baggers&rdquo; che in Europa dove Harley-Davidson &egrave; sbarcata ufficialmente nell&rsquo;ultimo weekend della stagione del motomondiale facendo provare a diverse leggende della MotoGP le Road Glide ufficiali con cui Kyle Wyman e James Rispoli hanno corso nell&rsquo;ultima stagione. Un successo negli Stati Uniti che ha portato anche alla nascita di altri campionati come la Baggers Racing League alla quale Xaus ha partecipato nel 2024 conquistando il titolo. A pochi giorni dal 2025 &egrave; infine arrivato l&rsquo;annuncio della nascita del Baggers Racing European Cup, un vero e proprio campionato europeo destinato non solo ad Harley ed Indian come invece avviene nel MotoAmerica. Ruben Xaus &egrave; stato il principale artefice della nascita di questa competizione lavorando con FIM Europe per la stesura di un regolamento che permettesse anche alle case europee e giapponesi di partecipare a questa serie. Nella lista della moto che si potranno adattare sono infatti presenti oltre alle Harley-Davidson Street Glide, Road Glide, Road King e Ultra, la BMW R18 e la Triumph Rocket III, le italiane Ducati Diavel 1260 oltre alle Moto Guzzi MGX21 e California. Dal Sol Levante invece sono attese le Honda Goldwing, la Kawsaki VN Voyaher, la Suzuki Intruder e la Yamaha Star Cruiser, anche la Cina potr&agrave; essere rappresentata con il brand WYCHE Motorcycle che all&rsquo;ultima edizione di EICMA ha presentato la propria gamma di moto. I weekend di gara saranno simili a quelli della Superbike con prove libere, qualifiche e due manche di gara da correre sabato e domenica, le iscrizioni si apriranno al Motor Bike Expo di Verona a fine gennaio dove probabilmente si scopriranno maggiori dettagli, intanto sui propri canali social Xaus ha anticipato che una gara si svolger&agrave; anche in Italia al Cremona Circuit.  SBK: Razgatlioglu porta il numero 1 sulla BMW per la prima volta       

Un campionato voluto fortemente da Ruben Xaus che dopo aver corso negli States far&agrave; sbarcare le gare anche nel vecchio continente, una tappa si correr&agrave; a Cremona

Le Baggers sbarcano in Europa: al via anche Ducati e Moto Guzzi

        Niente Phillip Island e relativa visita nei giorni precedenti ai molteplici parchi per incontrare koala e canguri per Miguel Oliveira che restato in patria &egrave; stato ospite di Andr&eacute; Villas-Boas al do Dragao, casa del FC Porto. Massimo Rivola scende in pista nel Trofeo Moto Guzzi Fast Endurance  Villas-Boas salvato da un incidente alla Dakar Forse non molti sanno che l&rsquo;ex allenatore di Porto, Chelsea e Tottenham oltre che storico collaboratore tecnico di Jos&eacute; Mourinho fino al 2009 quando lo &ldquo;Special One&rdquo; allenava l&rsquo;Inter &egrave; un grande appassionato di motori. Tanto che nel 2018 Andr&eacute; Villas-Boas partecip&ograve; alla Dakar su un Toyota Hilux in equipaggio con Ruben Faria. Una partecipazione che seppur poco fortunata ha probabilmente salvato la vita dell&rsquo;attuale Presidente del FC Porto. A seguito di un atterraggio violento da una duna Villas-Boas sub&igrave; un infortunio alla schiena che lo costrinse al ritiro, arrivato in ospedale i medici si accorsero presto della presenza di un tumore alla tiroide, l&rsquo;operazione di rimozione di circa met&agrave; della tiroide ebbe delle complicazioni con il portoghese che rischi&ograve; di soffocare nel suo stesso sangue. Da un esame di controllo dopo il primo tumore ne venne scoperto un secondo alla schiena anche questo rimosso. &Egrave; lo stesso Andr&eacute; Villas-Boas a confessare che probabilmente senza la sua partecipazione alla Dakar e quell&rsquo;incidente quei due tumori probabilmente sarebbero stati scopeti molto pi&ugrave; tardi con esiti decisamente meno lieti. Per il Presidente del FC Porto &egrave; stato dunque un onore avere come ospite Miguel Oliveira ad oggi unico pilota a rappresentare a tempo pieno nel motomondiale il Portogallo, con il pilota Aprilia Trackhouse che attraverso i propri social ha ringraziato Villas-Boas per l&rsquo;invito e per essere una fonte d&rsquo;ispirazione e resilienza.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da MiguelOliveira88 (@88migueloliveira)            

Il pilota portoghese ancora out per l&rsquo;infortunio al polso destro ha visitato il club di Porto di cui l&rsquo;ex vice di Jos&eacute; Mourinho oggi &egrave; presidente

MotoGP, Miguel Oliveira ospite di André Villas-Boas all’Estádio do Dragao

        Al termine di una delle corse pi&ugrave; belle dell'intera stagione del WorldWCR e non solo, Sara Sanchez &egrave; riuscita a conquistare la sua prima vittoria in carriera nel mondiale femminile in Gara 2 all'Estoril, battendo al fotofinish Ana Carrasco dopo aver sfruttato nel migliore dei modi la scia in uscita dal lungo curvone che immette sul rettilineo del traguardo. SBK Estoril, fantastico Bulega: brucia Toprak e vince la Superpole Race  Carrasco allunga su Herrera, quinta la Ponziani  Pur essendo stata beffata all'ultimo, la vincitrice di Gara 1 Ana Carrasco pu&ograve; vedere il proverbiale bicchiere mezzo pieno visto che con il secondo posto ha esteso ulteriormente la propria leadership nei confronti della diretta rivale Maria Herrera, terza sotto la bandiera a scacchi. Completa poi un poker tutto spagnolo Beatriz Neila Santos, a sua volta a lungo in lotta per le posizioni da podio. Buona gara anche per la &ldquo;nostra&rdquo; Roberta Ponziani, la quale si &egrave; confermata per l'ennesima volta come l'unica in grado di tenere almeno in parte il ritmo delle quattro iberiche chiudendo al quinto posto davanti a Pakita Ruiz. Vince poi la lotta tutta americana Mallory Dobbs, davanti ad Astrid Madrigal e Isis Carreno, nona al rientro dopo un lungo infortunio.&nbsp; Massimo Rivola scende in pista nel trofeo Moto Guzzi Fast Endurance La classifica di Gara 2         

La ragazza spagnola ha trionfato al fotofinish davanti ad Ana Carrasco, che allunga ulteriormente in classifica sulla Herrera. Buona Top 5 per Roberta Ponziani

WorldWCR Estoril, Gara 2: Sara Sanchez centra il primo successo mondiale

        Seppur sospesa a quattro giri dalla fine per via dell'arrivo della pioggia, Gara 1 del mondiale femminile WorldWCR&nbsp;all'Estoril &egrave; stata ricca di emozioni e colpi di scena; ad avere la meglio all'esposizione della bandiera rossa &egrave; stata Ana Carrasco, che ha cos&igrave; allungato in classifica nei confronti di una Maria Herrera protagonista nel bene e nel male. La portacolori del team Klint Forward Racing &egrave; infatti scattata dall'ultima posizione in griglia per via di un problema nel giro di ricognizione, ma ha recuperato tantissime posizioni nelle battute iniziali per poi lottare al vertice con la diretta rivale nella corsa al titolo. Massimo Rivola scende in pista nel trofeo Moto Guzzi Fast Endurance Neila sul podio, settima la Ponziani  A completare il podio &egrave; stata un'ottima Beatriz Neila Santos, brava a tenere il ritmo delle due dominatrici del campionato andando a chiudere una Top 3 tutta spagnola. E sempre la Spagna si ritrova anche quarta con Sara Sanchez, la quale ha dovuto anche scontare un long lap penalty per via dell'incidente di Cremona ma ha fatto registrare il miglior crono che le permetter&agrave; di scattare dalla pole nella seconda manche. In Top 5 anche l'australiana Tayla Relph, mentre Roberta Ponziani ha chiuso in settima piazza alle spalle di un'altra spagnola, ovvero Pakita Ruiz. Per l'abruzzese si &egrave; trattata di una &ldquo;prima volta&rdquo; all'Estoril, ma in Gara 2 punter&agrave; certamente ad una corsa pi&ugrave; incisiva, per tornare nelle posizioni da podio in cui ha gi&agrave; dimostrato di poter stare negli scorsi round. Festa doppia al Rally del Marocco: a Sanders la gara, a Branch il mondiale La classifica di Gara 1         

Ana ha trionfato in una corsa sospesa a quattro giri dalla fine a causa dell'arrivo della pioggia. Grande rimonta per Maria, a podio anche Beatriz Neila

WorldWCR Estoril: Carrasco vince Gara 1, Herrera da ultima a seconda

        Il manager faentino ha sfruttato il weekend libero dagli impegni del motomondiale per concedersi qualche giorno di divertimento in pista mettendosi in gioco in prima persona nel Trofeo Moto Guzzi Fast Endurance. SBK Estoril, Toprak: &ldquo;Sorpreso dall'assenza della Turchia dal calendario 2025&rdquo;  Rivola pilota per un giorno L&rsquo;AD di Aprilia Racing Massimo Rivola &egrave; sceso in pista al Misano World Circuit per l&rsquo;ultimo weekend di gare del Trofeo Fast Endurance, monomarca dedicato alla Moto Guzzi V7 marchio storico del Gruppo Piaggio di cui anche Aprilia fa parte. Non &egrave; la prima volta in questi anni da AD di Aprilia Racing che Massimo Rivola si allaccia il casco e scende in pista, lo avevamo gi&agrave; visto girare sia ad Imola con la Aprilia RS 660 Trofeo nel gioved&igrave; di prove libere del CIV un paio d&rsquo;anni fa ed anche lo scorso anno a Misano Adriatico nella pausa estiva sempre con la RS 660, questa volta per&ograve; il manager faentino classe 1971 correr&agrave; le ultime due gare del Trofeo dedicato alle moto di Mandello del Lario in squadra con Graziano Milone, i due si alterneranno alla guida della V7 preparata e messa in pista da Guareschi Corse nella gara endurance di sabato sera, un ora trenta minuti di gara in notturna con via alle 19:20 mentre domenica la gara durer&agrave; &ldquo;solo&rdquo; un ora e scatter&agrave; alle 15:20. Al termine delle prime qualifiche Massimo Rivola ha fatto segnare il settimo tempo del suo gruppo (decimo assoluto) fermando il cronometro in 2&rdquo;00&rdquo;344.        

L&rsquo;AD di Aprilia Racing si &egrave; allacciato tuta e casco e sar&agrave; al via dell&rsquo;ultimo weekend del CIV Classic al Misano World Circuit &ldquo;Marco Simoncelli&rdquo;

Massimo Rivola scende in pista nel Trofeo Moto Guzzi Fast Endurance

        Nelle pagine si accenna spesso alla rigidezza. In questa sede vediamo di parlarne in maniera pi&ugrave; approfondita in particolare con riferimento a certi componenti e a strutture come il telaio. Cominciamo dicendo che resistenza e rigidezza sono due cose ben diverse.&nbsp; La prima ci dice quale carico un materiale (o un pezzo) &egrave; in grado di sopportare prima di rompersi mentre la seconda indica in quale misura esso si deforma elasticamente sotto una data sollecitazione (cessata la quale torna alle dimensioni e alla forma originali). La saldatura fa la (sua) forza Parliamo di rigidezza  Conoscere la rigidezza &egrave; importante perch&eacute; ci consente di sapere a quale carico massimo un pezzo pu&ograve; essere sottoposto, continuando poi a poter essere utilizzato. Superato tale valore la deformazione &egrave; permanente e quindi, anche se non avviene alcuna rottura, il componente &egrave; da scartare in quanto non pi&ugrave; in grado di comportarsi come previsto in fase di progetto. La rigidezza di un materiale viene indicata dal suo modulo elastico. Quello dell&rsquo;acciaio &egrave; triplo rispetto a quello dell&rsquo;alluminio, ma la resistenza a trazione delle migliori leghe di quest&rsquo;ultimo elemento &egrave; prossima a quella di un discreto acciaio da bonifica (e superiore a quella di un acciaio dolce, ovvero a basso tenore di carbonio). Oltre a quella dei materiali esiste anche una rigidezza strutturale, diversa a seconda della direzione della sollecitazione. Abbiamo infatti una rigidezza a trazione (longitudinale e trasversale), una a compressione (idem) e una a torsione. Qui ovviamente sono fondamentali la forma, le dimensioni e la disposizione degli elementi che compongono la struttura. Una trave rettilinea fissata a un&rsquo;estremit&agrave; e caricata in corrispondenza dell&rsquo;altra flette assumendo una forma arcuata. Rispetto alla sua mezzeria longitudinale la parte superiore sar&agrave; sollecitata a trazione e quella inferiore a compressione. In corrispondenza della mezzeria viene a trovarsi l&rsquo;asse neutro, che non lavora affatto. Ecco perch&eacute; in genere le travi hanno una sezione a doppia T. Il materiale viene concentrato nelle zone pi&ugrave; sollecitate, ovvero nelle &ldquo;ali&rdquo;. In una trave avente tale sezione possiamo praticare dei fori di alleggerimento nell&rsquo;anima che collega le ali senza indebolirla significativamente. Al posto di tali fori si possono praticare aperture pi&ugrave; ampie e, procedendo con la rimozione di materiale da dove esso serve meno, si pu&ograve; arrivare a finestre triangolari. Da l&igrave; a una struttura a traliccio, con travi corte o tubi inclinati che collegano i due elementi principali, il passo &egrave; breve.  Telai e triangoli  &Egrave; cos&igrave; che sono nati i classici ponti ferroviari come quelli della seconda met&agrave; dell&rsquo;Ottocento, dalle caratteristiche travature che si vedono in tanti film. Una struttura triangolata &egrave; quella che consente la massima rigidezza a parit&agrave; di peso. Il grande John Augustus Roebling, progettista (tra l&rsquo;altro) del famoso Ponte di Brooklyn, diceva giustamente che il triangolo &egrave; la figura geometrica &ldquo;pi&ugrave; indeformabile&rdquo;. Se il disegno &egrave; correttamente triangolato, come dovrebbe sempre avvenire per i telai a traliccio per moto, i vari elementi lavorano soltanto a trazione o a compressione. Le norme base per ottenere la massima rigidit&agrave; abbinata a un&rsquo;elevata leggerezza sono semplici. In una struttura a tubi, questi devono essere corti e di grande diametro. Occorre per quanto possibile evitare di sottoporli a sforzi di flessione e disporli in modo da triangolare sempre, ove possibile, e fare un uso razionale di nervature, fazzoletti in lamiera e costolature. &Egrave; mettere il materiale dove effettivamente serve e adottare geometrie che consentano di distribuire uniformemente le sollecitazioni. In una barra sollecitata a torsione la zona centrale praticamente non lavora mentre la sollecitazione &egrave; massima in quella pi&ugrave; esterna. In genere &egrave; dunque vantaggioso adottare una conformazione tubolare. A parit&agrave; di peso &egrave; assai meglio un tubo (di diametro maggiore) di una barra o di un albero pieno. I telai con struttura triangolata non sono una novit&agrave;: gi&agrave; negli anni Venti li impiegavano per esempio Case come la Cotton e la Francis-Barnett. Nel dopoguerra telai a traliccio sono stati adottati, per esempio, dalla Guzzi (350 da Gran Premio) e dalla IMN (Punch monocilindrica e Rocket bicilindrica). La loro vera diffusione si &egrave; per&ograve; avuta dagli anni Ottanta per merito prima della Ducati e poi della stessa KTM. In molti telai (non soltanto del tipo a doppia trave portante) la zona del cannotto di sterzo ha una struttura scatolata, ottenuta per fusione o unendo mediante saldatura varie parti sagomate. In passato ci sono stati alcuni interessanti esempi di telai con struttura mista nei quali la parte anteriore in tubi era vincolata a quella posteriore scatolata e realizzata in lamiera stampata. La Sertum ha utilizzato quest&rsquo;ultima per piazzare al suo interno l&rsquo;elemento elastico della sospensione, costituito da una mezza balestra disposta verticalmente. Un&rsquo;altra Casa che ha adottato un telaio con struttura simile &egrave; stata la MAS. Hanno impiegato, e con ottimi risultati, telai in lamiera scatolata con disegno a trave portante e motore fissato a sbalzo Case come NSU e MotoBi. Che i disegni &ldquo;a guscio&rdquo; siano eccellenti per quanto riguarda l&rsquo;utilizzazione del materiale &egrave; ampiamente dimostrato dal settore aeronautico (ove, beninteso, si fa ampio uso di elementi come le longherine e le centine per supportare la lamiera esterna). A pari rigidezza, talvolta essi possono essere pi&ugrave; leggeri rispetto a quelli a traliccio. Per quanto riguarda la telaistica si arriva, al limite, alle strutture monoscocca, cos&igrave; diffuse in campo auto. Nel nostro settore non si possono non menzionare la straordinaria Ossa 250 da GP di fine anni Sessanta, la Motom 98 (autentico capolavoro anche di design, nella foto al centro dell'articolo) e la Ariel Leader. La grande validit&agrave; di tutte le strutture cave &egrave; stata &ldquo;sfruttata&rdquo; anche per componenti come alcune bielle per vetture da competizione. Da tempo si realizzano valvole cave, ma soltanto per ridurne il peso. I trattamenti degli organi meccanici | Officina       

Sono la figura geometrica che unisce rigidit&agrave; e leggerezza, come testimoniano anche i telai a traliccio

Rigidezza, telai e... triangoli | Officina

        Appuntamento da non perdere per i motociclisti e gli appassionati di Roma e dintorni. Torna l&rsquo;Eternal City Motorcycle Show, il grande avvenimento della Capitale dedicato agli amanti delle due ruote che, per la sua ottava edizione, cambia location: nell&rsquo;ultimo weekend di settembre, sabato 28 e domenica 29, la rassegna andr&agrave; in scena presso &ldquo;La Nuvola-Roma Convention Center&rdquo;, la struttura avveniristica progettata da Massimiliano e Doriana Fuksas.&nbsp; Team Snipers: "tiratori scelti" protagonisti in Moto3 Eternal City Motorcycle Show, da non perdere  Una soluzione che consentir&agrave; di far fronte in maniera pi&ugrave; efficace alle numerose richieste delle aziende interessate a esporre, oltre che garantire i pi&ugrave; moderni standard in termini di servizi; sar&agrave; anche una grande opportunit&agrave; per sponsor, customizer e artisti che esporranno al suo interno. Promette di essere un&rsquo;esperienza da non mancare per i visitatori che godranno di una location unica e di altissimo pregio. Per la manifestazione &egrave; confermato il tanto atteso format dei demo ride con le proposte di tutte le principali Case motociclistiche che consentiranno agli appassionati di provare le moto,&nbsp;partendo dal piazzale del Roma Convention Center e proseguendo tra le strade della Capitale. Saranno presenti Aprilia, BMW Motorrad, BSA Motorcycles, Ducati, Harley-Davidson, Honda, Indian Motorcycle, Kawasaki, KTM, Moto Guzzi, Moto Morini, MV Agusta, Royal Enfield, Suzuki, Triumph, Yamaha, in rigoroso ordine alfabetico. Le Case metteranno gratuitamente a disposizione del pubblico oltre 300 moto per oltre 3000 prove delle ultime novit&agrave; sul mercato. &ldquo;Siamo molto soddisfatti di riproporre un evento che torna a riempire la Capitale con le &lsquo;Eccellenze su ruote&rsquo;&rdquo; le parole di Fabrizio Croce, organizzatore della rassegna. &ldquo;Le prove dei nuovi modelli saranno il fulcro, con la presenza di tutte le maggiori Case, presenti con aree e strutture sempre pi&ugrave; importanti&rdquo;. Il Roma Convention Center si trova a pochi passi dal Palazzo dei Congressi, teatro delle ultime dueedizioni della manifestazione. Una struttura ben collegata con il centro citt&agrave; e facilmente raggiungibile dall&rsquo;aeroporto e dalla stazione dei treni, anche grazie al servizio taxi e ai mezzi pubblici (a soltanto cinque fermate di metro dal centro).&nbsp;  Eternal City Motorcycle Show: info, biglietti  L&rsquo;Eternal City Motorcycle Show punta a confermarsi, anno dopo anno, come riferimento per gli appassionati del centro-sud Italia, radunando oltre 18.000 visitatori e 200 espositori nei 9000 metri quadrati di superficie. Saranno 50 gli appuntamenti in programma tra esibizioni, presentazioni e talk; si potr&agrave; cos&igrave; spaziare dal mondo del custom ai viaggi e all&rsquo;avventura. Particolare attenzione per i pi&ugrave; piccoli, con la nuova attivit&agrave; &ldquo;Custom Kids&rdquo;, simpatico laboratorio creativo organizzato in collaborazione con il Corriere dello Sport e dedicato ai bambini che potranno realizzare la loro prima moto custom. Da segnalare, noltre, l&rsquo;omaggio al pubblico femminile con una nuova iniziativa che prevede, nella giornata di sabato 28, due appuntamenti formativi per le donne e le ragazze che vorranno avvicinarsi al mondo delle due ruote: lezione teorica in un&rsquo;aula dedicata e anche piccole prove pratiche in sicurezza, per aiutare l&rsquo;avvicinamento alla guida della moto. Attenzione per&ograve;: non stiamo parlando di una due giorni con appuntamenti dedicati esclusivamente al tema delle due ruote, perch&eacute; ad animare la manifestazione ci saranno anche performance live di musica, danza, arte, spettacoli acrobatici, per un&rsquo;atmosfera tutta da vivere. Main partner saranno Liqui Moly, Motor Bike Expo e Sielte. L&rsquo;apertura &egrave; prevista&nbsp;alle ore 9, con chiusura dell&rsquo;area espositiva sabato alle 21, anche se poi DJ set e area food saranno presenti fino all&rsquo;una di notte. La domenica, invece, la chiusura sar&agrave; alle ore diciannove, con la conclusione della manifestazione. Per quanto riguarda i biglietti, si potranno acquistare anche durante la manifestazione. Per chi opter&agrave; per la soluzione on line, gli ingressi saranno disponibili a 15 Euro (ridotto 10 per bambini e disabili) sul sito ufficiale. GP Misano, Bagnaia all'assalto di Martin: Jorge resister&agrave;?       

Da quest'anno, l'evento avr&agrave; come location la Nuvola di Fuksas. Previsti oltre 3000 demo ride, ma non solo

Eternal City Motorcycle Show: a Roma moto e arte viaggiano a braccetto

        Il Moto Club&nbsp;Castellammare Adriatico, affiliato FMI, anche per il 2024, dopo l&rsquo;eccellente risultato della prima edizione 2023 concomitante con il centenario della gara, ha ottenuto una ampia adesione di iscrizioni di partecipanti alla gara di regolarit&agrave; che si svolger&agrave; nella giornata di sabato 7, su un percorso di quasi 300 chilometri. I partecipanti, trenta in tutto come nel 1923, di cui 4 donne, sono provenienti da tutte le regioni&nbsp;d'Italia oltre che dall'estero. Le et&agrave; variavano dai 23 anni del concorrente pi&ugrave; giovane agli 83 di un entusiasta veterano che, anche quest&rsquo;anno, ha gi&agrave; partecipato alla prima edizione a bordo della sua Moto Guzzi Sport 15, sar&agrave; insieme agli altri membri della famiglia, ovviamente tutti motociclisti. Sar&agrave; presente nuovamente anche l'austriaco Roland Grossbicher, alla guida di una Raleigh Super Sport model 6 del 1924, con abbigliamento d'epoca veramente glamour.  Il PROGRAMMA DELL'EVENTO La&nbsp; partenza &egrave; prevista dal Parco Comunale di Monterotondo e attraverso due antiche strade consolari, la Salaria e la Tiburtina, percorrendo la Strada Statale&nbsp;Appennino Abruzzese e Appulo-Sannitico oltre che la Valle Subequana, si giunger&agrave; sull&rsquo;Adriatico.&nbsp;Sono previste soste con ristori gentilmente offerti dalle locali amministrazioni comunali a Cittaducale (RI), al Lago Sinizzo di San Demetrio Ne' Vestini (AQ) e Popoli (PE).&nbsp;Il controllo orario di Popoli sar&agrave; effettuato nella casa natia di Corradino D&rsquo;Ascanio grazie all&rsquo;amico Ezio D&rsquo;Amato.&nbsp; Si prevede di compiere il percorso&nbsp;di gara in 8 ore, soste comprese. L'arrivo della competizione &egrave; previsto a Villa Acerbo di Caprara d'Abruzzo, con il tradizionale saluto del Sindaco di Spoltore Chiara Trulli e dei responsabili della locale Pro-Loco. Saranno presenti i vertici regionali della Federazione Motociclistica Italiana, nonch&eacute; Massimo Mansueti, presidente del Moto Club &ldquo;Libero Liberati - Paolo Pileri&rdquo; di Terni e parte del&nbsp;suo staff organizzatore del "Motogiro d'Italia" che molto ha collaborato alla realizzazione dell'evento. Nel panorama delle manifestazioni italiane, un percorso cos&igrave; lungo con moto cos&igrave; vecchie, render&agrave; la giornata di gara un evento veramente unico. La motocicletta d&rsquo;epoca, insieme a tutto il movimento del motorismo storico, appartengono sempre di pi&ugrave; alla cultura ed alla storia dei nostri territori, con il Lazio e l&rsquo;Abruzzo regioni perfette allo &ldquo;Slow Travel&rdquo;, quel particole turismo a due ruote che necessariamente induce una esperienza immersiva sotto tutti i profili. In questa manifestazione la particolarit&agrave; dei mezzi partecipanti esalteranno ancora di pi&ugrave; tale spirito, proponendo un vero e proprio museo viaggiante dinamicamente esposto per un giorno.&nbsp; La manifestazione coincider&agrave; con il &ldquo;Festival Dannunziano&rdquo; che si terr&agrave; a Pescara da fine luglio all&rsquo;8 agosto. &nbsp; "Coppa Roma - Castellammare Adriatico": LA STORIA&nbsp; Nel 1923, venne ideata una prova di regolarit&agrave;, per motociclette e automobili,con gare disputate rispettivamente il 19 e il 20 agosto.&nbsp;Con partenza da Ponte Salario a Roma e arrivo sull'Adriatico, vennero denominate "Coppa Roma - Castellammare Adriatico". Promotori furono Diego De Sterlich Aliprandi,&nbsp;grande appassionato di motori e Giacomo Acerbo, grande amante della sua terra. I due nobili abruzzesi diedero poi vita alla &ldquo;Coppa Acerbo&rdquo;. Negli anni successivi le motociclette furono sempre presenti nelle competizioni organizzate a Pescara, sotto varie forme e con diverse denominazioni agonistiche. Furono presenti le grandi case costruttrici, nazionali ed estere, dalla Moto Guzzi alla Benelli, fu presente anche la quattro cilindri Rondine e tra le straniere Norton, Velocette e le Rudge della &ldquo;Scuderia Ferrari&rdquo;. Fra i tanti vinsero Piero Taruffi, Dorino Serafini, Omobono Tenni, oltre a tanti altri piloti italiani e stranieri.  LE MOTO Saranno presenti anche motociclette centenarie, in particolare una Harley Davidson model F del 1919 ed una Moto Guzzi modello Sport 15 del 1931, le quali insieme ai rispettivi proprietari hanno gi&agrave; partecipato pi&ugrave; volte alla "Cannonball" negli Stati Uniti, ovvero la pi&ugrave; famosa competizione per motociclette anteguerra al mondo. Anche gli altri non sono da meno, a parte una piccola aliquota di "Guest" con veicoli entro gli anni '60, tutti i mezzi sono stati selezionati tra i pi&ugrave; rappresentativi marchi della produzione mondiale entro il 1943. PROGRAMMA - ROAD BOOK 06/09&nbsp;- Il primo appuntamento &egrave; per venerd&igrave; dalle ore 15,00 presso la tenuta Grazioli di Settebagni (Roma) per gli accreditamenti, verifiche tecniche e distribuzione del materiale di gara. &nbsp;Sar&agrave; l&rsquo;occasione per passare un po&rsquo; di tempo insieme, conoscersi ed eventuali chiarimenti.&nbsp;La serata per i partecipanti,&nbsp; proseguir&agrave; presso la Tenuta Lisetta per il briefing e cena sociale.&nbsp; 07/09 - Sabato, dalle ore 7,30, l'appuntamento &egrave; presso il Parco del Cigno di Monterotondo (Roma), antistante il locale Municipio.&nbsp;L&rsquo;inizio della Gara &egrave; fissato alle ore 8,30 con la partenza del primo concorrente.&nbsp;Il consiglio &egrave; quello di arrivare in anticipo, almeno alle 8,00, per un breve ulteriore briefing prima della partenza. L&rsquo;arrivo, dopo 3 tappe intermedie, &egrave; previsto a Caprara D&rsquo;Abruzzo (PE) presso il Parco Villa Acerbo, ad accogliervi un aperitivo di benvenuto, dopo il quale avverr&agrave; il trasferimento presso le strutture alberghiere. La cena &egrave; presso il noto locale culturale Caff&egrave; Letterario - Cinquesensi sito in via delle Caserme a Pescara Vecchia.&nbsp;Alle ore 20,30 inizier&agrave; la Cena di Gala. 08/09&nbsp;- Domenica mattina&nbsp; saluti e rientro indipendente.       

Dopo il bel risultato risultato della prima edizione 2023 concomitante con il centenario della gara torna la &ldquo;Rievocazione Storica Coppa Roma - Castellammare Adriatico&rdquo;&nbsp;

Torna la "Coppa Roma": la rievocazione dal 6 all'8 settembre

        La gloriosa storia delle Benelli da Gran Premio &egrave; iniziata nel 1927 e si &egrave; conclusa nel 1973. La prima moto da competizione uscita dallo stabilimento pesarese fu una 175 monocilindrica con distribuzione monoalbero comandata da una cascata di ingranaggi posta sul lato destro, cambio separato e lubrificazione a carter secco. La potenza inizialmente era di una decina di cavalli a 6500 giri/min. Nel 1930 il motore sub&igrave; una profonda rivisitazione e venne dotato di nuove misure caratteristiche e di una distribuzione bialbero. Passa alla prossima pagina La newsletter di Motosprint &nbsp; La Benelli nei GP  Al termine della sua evoluzione, nel 1934, la potenza arriv&ograve; a circa 15 cavalli. L&rsquo;anno successivo la 175 venne sostituita dalla 250, realizzata con identico schema. La prima versione di questa moto aveva un alesaggio di 67 millimetri e una corsa di 70 ed erogava 25 cavalli a 8000 giri/min. Dal 1938 le misure caratteristiche passarono a 65 x 75 mm con una crescita di potenza di un paio di cavalli, a un regime leggermente superiore ai 9000 giri/min. LA 175 ebbe una carriera agonistica formidabile, ma la 250 fu addirittura superiore. Tra le sue vittorie spicca quella nel Tourist Trophy del 1939 con Ted Mellors. Nel dopoguerra questa moto continu&ograve; a giocarsela con la Guzzi per la supremazia nella sua classe e nel 1950 conquist&ograve; il titolo mondiale (e vinse nuovamente il TT). La potenza era dell&rsquo;ordine di 27-28 cavalli, ci&ograve; costituiva un ottimo risultato se si considera il potere antidetonante della benzina dell&rsquo;epoca. La scomparsa del suo alfiere, il grande Dario Ambrosini (vincitore del TT e campione del Mondo nel 1950), port&ograve; la Benelli a perdere interesse per il Mondiale e a limitare per alcuni anni la sua attivit&agrave; agonistica alle moto derivate dalla serie. In pratica, nelle maratone stradali e nelle competizioni per i piloti di terza categoria correva una versione da corsa del Leoncino, un robusto e semplice modello di serie con motore monocilindrico a due tempi di 125 cm&sup3;. Il ritorno ai Gran Premi avvenne un po&rsquo; in sordina, con una nuova 250 monocilindrica progettata dal giovanissimo ingegner Aulo Savelli, che nulla aveva a che vedere con quella di Ambrosini. La moto, il cui motore aveva un alesaggio di 70 mm e una corsa di 64,8, venne presentata nel settembre del 1958. La sua potenza era di 30 CV a 10.300 giri/ min, successivamente portati a 33 a quasi 12.000 (potenza specifica = 132 CV/litro). Ormai, per&ograve;, era chiaro come l&rsquo;era dei &ldquo;mono&rdquo; stesse giungendo al termine. La Casa pesarese decise quindi di realizzare un quadricilindrico, come del resto aveva gi&agrave; fatto subito prima della Seconda Guerra mondiale, con una straordinaria moto sovralimentata e raffreddata ad acqua. Nel giugno del 1960 venne cos&igrave; presentata la 250 a quattro cilindri. La messa a punto iniziale fu laboriosa e la moto pot&eacute; scendere in pista soltanto nel 1962. Il motore aveva un alesaggio di 44 millimetri e una corsa di 40,5. La distribuzione era bialbero, la testa era in due parti e i cilindri, disposti verticalmente, erano individuali. La carriera di questa moto &egrave; stata lunga, con numerosi successi nelle gare italiane, tuttavia i trionfi internazionali arrivarono con il contagocce. Il lungo lavoro di sviluppo, grazie al quale la potenza sal&igrave; a quasi 50 cavalli a oltre 15.000 giri/min, venne finalmente premiato nel 1969 con la conquista del titolo iridato da parte di Kel Carruthers. Dalla 250 derivarono poi una versione di 350 (1965) e una di 500 cm&sup3; (1967). Quest&rsquo;ultima, dalle misure caratteristiche quadre (54 x 54 mm) erogava 75 CV a un regime dell&rsquo;ordine di 12.000 giri/min, la sua potenza specifica era quindi di 150 CV/litro. Passa alla prossima pagina &nbsp; La Benelli negli Anni '70  Nel 1972 fecero la loro comparsa due moto da GP completamente nuove, di 350 e 500 cm&sup3;, realizzate con identico schema e progettate da Piero Prampolini. Erano entrambe bialbero con quattro valvole per cilindro e il loro disegno appariva notevolmente influenzato da quello delle mitiche Honda da GP di qualche anno prima. Le misure caratteristiche della 500 erano 53 x 56 mm (ma venne realizzata anche una versione nella quale erano 54 x 54 mm) e l&rsquo;angolo tra le valvole era di 70&deg;. Nella testa erano incorporate di fusione quattro calotte in bronzo, nelle quali erano ricavate le camere di combustione e le sedi delle valvole. Gli alberi a camme venivano azionati da una cascata di ingranaggi piazzata centralmente e agivano su punterie alloggiate in elementi di guida fissati alla testa mediante viti. Le valvole di aspirazione avevano un diametro di 22,5 millimetri e quelle di scarico di 21 mm; le alzate erano rispettivamente di 6,8 e di 6,5 mm. I pistoni a mantello intero erano forgiati e venivano vincolati alle bielle (ricavate dal pieno in acciaio da cementazione al nickel-cromo-molibdeno) da spinotti del diametro di 14 mm. La bancata dei quattro cilindri, munita di canne in ghisa installate con interferenza, era incorporata nella stessa fusione del semicarter superiore, al quale erano vincolati i sei supporti di banco (amovibili ma non scomponibili). Quello inferiore, assai meno sollecitato, era costituito da un&rsquo;unica grossa fusione in lega di magnesio al 4% di zinco, contenente anche zirconio e terre rare (ZE 41). Nella sua parte posteriore veniva alloggiato il cambio. L&rsquo;albero a gomiti composito, che ruotava all&rsquo;indietro, lavorava interamente su cuscinetti a rotolamento. Per la contrappesatura si faceva impiego di inserti in metallo pesante installati con forzamento. Un ingranaggio collocato in posizione centrale trasmetteva il moto all&rsquo;albero ausiliario che provvedeva ad azionare la trasmissione primaria, la distribuzione e, tramite un rinvio a vite senza fine, la pompa dell&rsquo;olio. I quattro perni di banco interni avevano un diametro di 25 mm (come i perni di biella) mentre i due esterni erano da 20 mm. Ogni supporto di banco alloggiava un cuscinetto volvente, installato sull&rsquo;albero all&rsquo;atto dell&rsquo;assemblaggio di quest&rsquo;ultimo ed era fissato al semibasamento superiore per mezzo di due viti. Per questo motore si parlava di una potenza dell&rsquo;ordine di 100 cavalli a 13.500 giri/min ma pare che erogasse poco meno di 90 CV a un regime leggermente inferiore a 13.000 giri/min. Le Benelli I 500 e 350 gareggiarono assai poco. L&rsquo;inizio era stato promettente, con vittorie a Pesaro nel 1972 e a Modena all&rsquo;inizio dell&rsquo;anno seguente. Ma dopo la terribile tragedia di Monza, nella quale persero la vita Jarno Saarinen e Renzo Pasolini, campioni grandi e amatissimi, la Casa pesarese decise di porre fine all&rsquo;attivit&agrave; agonistica in forma ufficiale, chiudendo cos&igrave; l&rsquo;epoca delle moto Benelli da Gran Premio: da allora, non ne sono pi&ugrave; state costruite.  MotoGP orari GP Austria 2024       

Meno di mezzo secolo di attivit&agrave; agonistica &egrave; bastato per lasciare il segno: dalla 250 monocilidrica fino alle quattro cilindri tra gli Anni &rsquo;60 e &rsquo;70

Benelli, la storia della gloriosa Casa pesarese nei GP

        Per lungo tempo gli alberi a gomiti dei motori motociclistici sono stati tipicamente realizzati in pi&ugrave; parti unite con vari sistemi, tra i quali alla fine si &egrave; affermato quello pi&ugrave; semplice e razionale, che prevedeva unioni per forzamento alla pressa. I cuscinetti, sia di banco che di biella, erano di norma a rotolamento. Le eccezioni sono state ben poche. Se i pistoni girano troppo velocemente | Officina Gli alberi a gomiti  Tra esse spiccavano diversi monocilindrici italiani di impostazione economica e i grossi bicilindrici inglesi. In entrambi i casi, di norma con albero composito, veniva in genere impiegata una soluzione &ldquo;mista&rdquo;: cuscinetti volventi per il banco e bronzine (anulari o in due parti) per le bielle. Poi, negli anni Sessanta, qualcosa ha cominciato a cambiare. Mentre iniziava ad avvertirsi un&rsquo;importante ripresa di interesse nei confronti delle moto, dopo un periodo davvero buio, la Guzzi e subito dopo la BMW hanno presentato le loro nuove bicilindriche di grossa cilindrata con un albero a gomiti forgiato in un sol pezzo che lavorava interamente su bronzine. La Honda ha fatto cominciare una nuova era nella storia della moto con la quadricilindrica CB 750 Four, il cui motore era dotato di albero a gomiti monolitico e di bronzine sia per il banco che per le bielle. Gli altri costruttori giapponesi hanno ben presto seguito la stessa strada. Tra la fine degli anni Settanta e l&rsquo;inizio degli anni Ottanta le quadricilindriche che impiegavano ancora alberi compositi erano davvero poche. Basta ricordare le Suzuki GSX 1100 e GS 550 e la Kawasaki KZ 1000. Nei loro motori la catena di distribuzione era piazzata centralmente e i supporti di banco erano sei; si evitava cos&igrave; di avere un tratto non supportato tra i due cilindri centrali (cosa non buona, specialmente con un albero in pi&ugrave; parti). I bicilindrici hanno rapidamente seguito la strada dell&rsquo;albero in un sol pezzo. Svariati anni dopo anche i &ldquo;mono&rdquo; hanno iniziato a farlo, ma non diffusamente. Tra i monocilindrici oggi in produzione di serie dominano gli alberi compositi. La cosa non vale per&ograve; per quelli delle Moto3 che impiegano alberi monolitici (e hanno quindi bielle con testa scomponibile lavorante su bronzine). A questo punto &egrave; lecito chiedersi per quale ragione. Mentre infatti per i policilindrici &egrave; chiaro che realizzare alberi compositi &egrave; pi&ugrave; costoso e complesso che realizzare alberi in un sol pezzo (basta pensare al numero di lavorazioni e alla procedura di assemblaggio e di centraggio), per i monocilindrici la cosa non &egrave; affatto evidente. In fondo si tratta soltanto di realizzare tre parti dalla semplice geometria (due semialberi e un asse d&rsquo;accoppiamento) e di unirle saldamente. Dopo alcune variazioni sul tema il sistema di unione che si &egrave; affermato definitivamente &egrave; il pi&ugrave; semplice, con il perno di manovella cilindrico (niente pi&ugrave; bordini o doppi diametri) che viene inserito con un&rsquo;adeguata interferenza nei due bracci di manovella. Occorrono lavorazioni accurate seguite da una grande precisione nell&rsquo;assemblaggio alla pressa e nel successivo allineamento dei perni di banco (il cosiddetto &ldquo;centraggio&rdquo;). La profondit&agrave; di piantaggio &egrave; dell&rsquo;ordine di un terzo della lunghezza totale del perno. Quando per&ograve; si raggiungono regimi di rotazione straordinariamente elevati, come nei motori da competizione, la situazione cambia. La solidit&agrave; dell&rsquo;unione tra le parti viene messa seriamente in crisi innanzitutto dalle sollecitazioni meccaniche. Al termine delle gare nelle MV Agusta quadricilindriche bialbero dei primi anni Settanta i perni degli alberi a gomiti pare fossero fuori allineamento di quasi un decimo di millimetro. Gli alberi si erano in una certa misura &ldquo;avvitati&rdquo;. Del fatto che potessero &ldquo;muoversi&rdquo; si era accorto anche il preparatore della Kawasaki-USA, Rob Muzzy, che per quelli delle sue 1000 bialbero raffreddate ad aria aveva addirittura fatto ricorso a cordoncini di saldatura (impiegati di serie soltanto dalla Suzuki nella sua DR Big 800, che non girava tanto in alto ma in quanto a masse in gioco&hellip;). Bene, nonostante questa precauzione in diversi casi le saldature si sono rotte. Fate un po&rsquo; voi&hellip;  Alberi a gomiti, funzionamento e deformazioni  Durante il funzionamento hanno luogo continue deformazioni elastiche dell&rsquo;albero, che si inarca quando il pistone va al punto morto superiore e 180&deg; dopo si deforma in modo opposto. In pratica i complessi braccio di manovella-contrappeso compiono un movimento che un tecnico americano ha definito a &ldquo;orecchie di elefante&rdquo;. Quando i regimi sono particolarmente elevati il vero problema, in aggiunta alla straordinaria frequenza con la quale si susseguono le sollecitazioni, sono le vibrazioni, causa di un fenomeno simile al fretting, con micromovimenti delle superfici accoppiate; con il tempo l&rsquo;accoppiamento diventa meno saldo. La forza con la quale vengono &ldquo;serrati&rdquo; i perni di manovella, cio&egrave;, diminuisce. Il passaggio agli alberi monolitici, da tempo d&rsquo;obbligo nei policilindrici per la maggiore razionalit&agrave; e il minor costo, nei motori molto spinti &egrave; diventato importante anche per la rigidezza. Logico dunque che siano interessati anche i monocilindrici di prestazioni pi&ugrave; elevate, tra i quali spiccano quelli delle Moto3. Dunque, se si vogliono raggiungere e mantenere a lungo, cio&egrave; non soltanto per alcuni giri di pista, regimi davvero molto elevati, come quelli dei moderni motori da competizione, diventa necessario l&rsquo;impiego di alberi a gomiti in un sol pezzo. A diventare critica allora potrebbe eventualmente essere la testa della biella, che &egrave; in due parti unite mediante viti ad altissima resistenza. Tutto questo, con gli attuali rapporti corsa/alesaggio e le odierne cilindrate unitarie. Per i motori a due tempi la situazione &egrave; diversa per via delle minori velocit&agrave; di rotazione (di poco superiori a 13.000 giri/min nelle ultime 125 da GP). Ma anche perch&eacute; la necessit&agrave; di utilizzare cuscinetti di biella a rullini, dovuta alle particolari condizioni di lubrificazione, obbliga a impiegare alberi compositi. Motori 4 cilindri a V: 120 anni di Storia       

Vantaggi, svantaggi e impiego della soluzione composita e della realizzazione in un sol pezzo

I dilemmi degli alberi a gomiti | Officina

        Lo scorso 1 giugno, conquistando Gara 1 della Supersport, Michael Dunlop&nbsp;ha eguagliato le 26 vittorie dello zio Joey al Tourist Trophy. Non contento, nei giorni seguenti il nordirlandese ha allungato, portando il suo bottino a 29 trionfi nella competizione stradale dell&rsquo;Isola di Man, anche se ha mancato quella cinquina che invece fu messa a segno da Ian Hutchinson nel 2010. In 117 anni di vita della corsa, soltanto sei piloti hanno capeggiato in solitaria la graduatoria dei plurivittoriosi al TT. Jett Lawrence torna sulla Terra | Quella (S)Volta Che La famiglia Dunlop e i primati al TT  Dal computo escludiamo i due vincitori dell&rsquo;edizione inaugurale, nel 1907, sul circuito di St. John da poco pi&ugrave; di 24 km, perch&eacute; le gare delle monocilindriche e delle bicilindriche si disputarono in contemporanea: Rem Fowler ebbe la meglio tra queste ultime con la Norton, pur impiegando tredici minuti in pi&ugrave; di Charlie Collier che disponeva di una Matchless a un solo cilindro ma dotata di pedali, banditi dall&rsquo;anno seguente. Soltanto alla quarta edizione, nel 1910, un pilota riusc&igrave; a ripetersi: merito del citato Collier che pieg&ograve; il fratello Harry, a sua volta impostosi l&rsquo;anno prima. Il primo ad arrivare a tre vittorie fu Alec Bennett nel 1926, anno in cui si corsero tre gare, Lightweight, Junior e Senior, tutte sulla distanza di sette giri del Mountain, ossia 425 km. A vincere la Junior fu Bennett con la Velocette con oltre 10&rsquo; di vantaggio. Nato in quella che oggi &egrave; una delle contee dell&rsquo;Irlanda del Nord, era emigrato da piccolo in Canada con la famiglia. Torn&ograve; nel Regno Unito durante la Prima Guerra mondiale per consegnare dispacci in moto e vi rest&ograve;. Bennett debutt&ograve; al TT nel 1921 con il quarto posto nella Senior classe che domin&ograve; l&rsquo;anno dopo e nel 1924. Prendendosi la Junior nel 1926 fu il primo a collezionare tre vittorie al TT, per poi alzare l&rsquo;asticella vincendo la Senior del 1927 e la Junior del 1928. Il primo a totalizzare sei successi fu per&ograve; Stanley Woods nel 1933. L&rsquo;irlandese, classe 1903, aveva debuttato al TT nel 1922: l&rsquo;anno prima si era recato all&rsquo;Isola di Man per vedere in azione il suo mentore Tommy Green e si era convinto di poterlo emulare. Al secondo anno vinse la Junior con la Cotton ma fu con il passaggio alla Norton che divent&ograve; uno dei pi&ugrave; forti dell&rsquo;epoca anche se dopo la seconda vittoria, la Senior del 1926, dovette attendere sei anni per ripetersi al TT. Nel 1932 fece la doppietta Junior-Senior, bissandola 12 mesi dopo. Scontento per il trattamento della Casa britannica, pass&ograve; all&rsquo;Husqvarna, che lasci&ograve; per la Moto Guzzi a cui regal&ograve; la prima vittoria al TT nel 1935, nella quarto di litro. Woods sal&igrave; a 10 successi al TT nel 1939. Il primo ad appaiarlo fu Mike Hailwood nel 1967, anno in cui con un tris (Junior, Lightweight e Senior) in sella alle Honda balz&ograve; a 12 vittorie, complice la rottura della catena della MV Agusta di Giacomo Agostini, con cui si stava contendendo la gara regina a suon di giri record. Mike the Bike agguant&ograve; altre due gemme nel 1978 (su Ducati) e 1979 (su Suzuki), portando il primato a 14 vittorie. Non immaginava che il trono glielo avrebbe sottratto quel taciturno pilota che nel 1977 aveva vinto il Jubilee Classic con 52&rdquo; di vantaggio su George Fogarty, padre di Carl. Fu il primo mattoncino del castello di Joey Dunlop che, con 26 vittorie al TT, divenne King of the Mountain. Dunlop eguagli&ograve; Hailwood nel 1992, con la conquista della 125, e oper&ograve; il sorpasso l&rsquo;anno dopo sempre nella ottavo di litro, precedendo il fratello Robert (pap&agrave; di Michael) di 12&rdquo;6. Joey continu&ograve; a macinare imprese fino al 2000 quando, incurante dei 48 anni, trionf&ograve; altre tre volte, un mese prima di perdere la vita in Estonia. Il sogno infranto di Adam Cianciarulo | Quella (S)Volta Che       

Michael &egrave; il sesto recordman di successi al Tourist Trophy: prima di lui, leggende come suo zio Joey e Hailwood, i cui regni durarono decenni

I primati della famiglia Dunlop | Quella (S)Volta Che

        La MotoGP si appresta a compiere i suoi primi 75 anni di storia, una data estremamente significativa per un'avventura gloriosa che ha vissuto diverse epoche e che ha attraversato momenti storici particolarmente rilevanti e sempre ricchi di sfumature molto eterogenee tra loro,&nbsp;tanto da un punto di vista socio-culturale quanto prettamente sportivo. Una storia fatta di uomini, nella declinazione di "piloti", i quali hanno caratterizzato l'epica sportiva del motorsport, generando un'eredit&agrave; che ancora oggi &egrave; tangibile, ma anche di case costruttrici che attraverso le competizioni hanno scritto la storia della cultura pop dell'Europa prima, e del mondo in un secondo (fondamentale) momento.&nbsp;Un percorso caratterizzato in lunga parte dai colori italiani, sia nell'accezione dei costruttori quanto dei corridori, tanto da ricoprire le pi&ugrave; alte vette delle statistiche pi&ugrave; importanti maturate fino ad oggi.&nbsp; MotoGP, KTM (Tech3) ha scelto: Bastianini e Vinales coppia 2025 Il big bang nel 1949: Italia ed Inghilterra al comando 75 anni fa, alle ore 11 di luned&igrave; 13 giugno 1949, sull'affascinante e successivamente storico tracciato dell'Isola di Man, veniva calato il sipario sul campionato del mondo.&nbsp;Il primo vincitore fu Freddie Frith, trionfante nella categoria 350 in sella alla Velocette; da quel momento, cos&igrave; ricco di simbologie e significati, sono stati registrati 3.392 Gran Premi, per un totale di&nbsp;31 nazioni e 75 tracciati coinvolti, nonch&eacute; di pi&ugrave; di 6000 piloti partecipanti. Un anedotto dall'elevato tasso pionieristico riguarda invece il pilota neozelandese&nbsp;Sid Jensen, il primo pilota della storia del motomondiale a far rombare il proprio motore nella sessione di prove di un GP. Per assicurarsi il primato, nel cuore della notte precedente Jensen aveva piazzato la sua AJS 350 sulla linea del traguardo, sei ore prima dell'inizio del turno, in programma alle 5 di mattina. Mentre lui si riposava in un posto limitrofo, alcuni amici facevano la guardia alla moto.&nbsp; Sebbene la dicitura "campionato del mondo" evidenziava la matrice globale della competizione, i primi anni furono connaturati da una forte prevalenza europea, in particolar modo di Inghilterra e Italia, le due potenze riferimento nell'ambito sia dei piloti che delle case costruttrici. Il mondiale nacque, come detto, nel 1949, un anno prima della creazione della Formula 1, a dimostrazione di una comunit&agrave; e di un contesto che erano gi&agrave; pronti da tempo ad esordire in senso mondiale. Tuttavia la seconda guerra mondiale ritard&ograve; i lavori; al termine della stagione sportiva del 1948, la Federazione Internazionale dei Club Motociclistici, istitu&igrave; il campionato del mondo, rinominando in tal modo il precedente "campionato motociclistico d'Europa" (in vita dal 1924) con l'intento di attirare nuove case e nuovi piloti anche da oltreoceano. Il campionato d'Europa venne caratterizzato in lunga parte dai piloti inglesi e da quelli italiani e la prima edizione del mondiale vide la prosecuzione di questo trend in tutte e quattro le categorie previste: 125, 250, 350, 500.&nbsp;Nello Pagani trionf&ograve; tra le piccole cilindrate in sella alla F.B. Mondial, la prima casa italiana a vincere un mondiale in 125. Successo tricolore a tutto tondo anche nella classe 250, in cui a imporsi fu&nbsp;Bruno Ruffo insieme alla Moto Guzzi. A spartirsi le categorie maggiori furono gli inglesi Freddie Frith, campione del mondo della 350 in sella alla Velocette, e Leslie Graham, primo campione del mondo della classe regina, la 500, in sella alla AJS, casa motociclistica inglese che smise di produrre moto nel 1974. MotoGP, KTM ha scelto: VInales e Bastianini coppia 2025 Pilota e moto, un connubio evolutosi nel tempo Il fascino dell'evoluzione sia fattuale che percettiva del motomondiale ha coinvolto l'equazione di base della nostra passione, ovvero il connubio tra uomo e macchina, tra pilota e moto, con tanto di progresso, scientifico, tecnologico e umano, in entrambe le accezioni. Negli anni '50 e '60, l'allenamento dei piloti era molto meno strutturato e scientifico rispetto a oggi; in molti si affidavano principalmente alla loro abilit&agrave; naturale e all'esperienza accumulata in pista. L'allenamento fisico era spesso limitato e non esistevano programmi di allenamento specifici per i piloti di moto. La preparazione consisteva principalmente in pratica e competizioni, con poca attenzione alla dieta, alla forza muscolare o alla resistenza aerobica. Un trend che con il due volte campione del mondo della 500 (1950,1952),&nbsp;Umberto Masetti&nbsp;prima, (considerato il primo "divo" del motociclismo), ma specialmente con&nbsp;Giacomo Agostini&nbsp;poi, &egrave; radicalmente cambiato, avvicinando il motorsport ad un approccio pi&ugrave; professionale e maggiormene canonico. I piloti moderni seguono, infatti, programmi di allenamento molto rigorosi e scientificamente studiati. L'allenamento include una combinazione di esercizi cardiovascolari, allenamento di forza, flessibilit&agrave; e reattivit&agrave;. Molti piloti adesso lavorano con personal trainer, nutrizionisti e psicologi sportivi per ottimizzare ogni aspetto della loro performance, aspetti impensabili agli albori del motomondiale. La tecnologia ha anche rivoluzionato l'allenamento, con simulatori di guida, analisi dei dati e altri strumenti avanzati che permettono ai piloti di migliorare costantemente. In un certo senso, i piloti degli anni '50 e '60 rappresentavano l'essenza della sfida umana contro l'ignoto e il pericolo, con tutte le annesse problematicit&agrave; del caso legate alla sicurezza.&nbsp;Erano esploratori di un nuovo mondo, affrontando l'incertezza con coraggio e determinazione. Le loro storie sono un tributo alla resilienza umana e alla volont&agrave; di spingersi oltre i limiti. I piloti moderni, invece, incarnano l'evoluzione della disciplina e della tecnica, la loro dedizione alla preparazione e all'ottimizzazione riflette il cambiamento della nostra comprensione del potenziale umano e tecnologico. Non si tratta pi&ugrave; solo di affrontare il pericolo, ma di padroneggiare ogni aspetto della performance umana e sportiva attraverso la scienza e la tecnologia. Essi rappresentano la fusione tra uomo e macchina, in cui &egrave; evidente un cambiamento nella concezione di spettacolo, coraggio e preparazione. Passa alla prossima pagina &nbsp; Il primo decennio: da Carlo Ubbiali a Geoff Duke e John Surtees Il dominio delle case costruttrici italiane: su tutte Benelli, Gilera, Moto Guzzi e Mondial, s'interruppe nel 1957 quando le sopracitate, insieme alla MV Agusta, (quest'ultima pro tempore) si ritirarono dalla scena del motomondiale a causa dei costi sempre pi&ugrave; elevati e dell'incertezza del ritorno dell'investimento economico sull'asse competizione\mercato stradale. Fino a quel momento, per&ograve;, Gilera ed MV Agusta in prevalenza, avevano fatto il bello e il cattivo tempo in classe regina, portando al successo piloti come Geoff Duke (Gilera), leggendario corridore inglese vincitore di 6 titoli mondiali; John Surtees (MV Agusta) sette volte iridato nonch&eacute; unico pilota della storia del motorsport ad aver vinto almeno un titolo sia nel massimo campionato mondiale su due ruote che in Formula 1, e Libero Liberati, (soprannominato "il ternano volante") campione del mondo proprio nel 1957. Quegli anni segnarono anche il dominio di un'altra figura leggendaria del motociclismo italiano e mondiale, Carlo Ubbiali, il mago delle piccole cilindrate dall'alto dei suoi sei sigilli in 125 e dei tre nella 250. I primi passi di Honda ed il dominio Giacomo Agostini-MV Agusta&nbsp; Nel 1961 una casa costruttrice proveniente dal Giappone inizi&ograve; a muovere i suoi primi vincenti passi, si trattava della Honda, il colosso di Tokyo vinse il suo primo titolo in 125 grazie al pilota australiano Tom Phillis, il quale segn&ograve; l'inizio di un lungo e fortunato percorso nelle competizioni motociclistiche per la casa dell'ala dorata. Honda port&ograve; al successo anche Mike Hailwood, in 250 nello stesso anno, e apr&igrave; un ciclo vincente con il rhodesiano Jim Redman, due volte campione della 250 prima di cedere lo scettro a Phil Read, futuro compagno di squadra di Giacomo Agostini in 500. Gli anni sessanta furono contraddistinti in un primo momento dalla prima rivalit&agrave; storica delle due ruote, ovvero quella tra Hailwood, (soprannominato "Mike The Bike" per la sua abilit&agrave; di andar forte con qualsiasi mezzo a motore) e Giacomo Agostini (memorabili i duelli delle edizioni 1966 e 1967 sull'Isola di Man); e in un secondo dal dominio assoluto del 15 volte iridato, capace di trionfare in classe regina per ben otto edizioni, al quale vanno aggiunte i sette sigilli della 350, per un totale di 122 vittorie nei GP. Numeri che ancora oggi lo rendono il pilota pi&ugrave; vincente di sempre sia in termini di mondiali che di GP vinti. Brivio su Roberts: "Ci piacerebbe avere un pilota americano" Passa alla prossima pagina &nbsp; L'esclusione del TT e l'avvento del motore 2T A Giacomo Agostini sono legati due tra gli avvenimenti pi&ugrave; significativi della storia del motomondiale; ci riferiamo all'esclusione definitiva della gara del TT sull'Isola di Man dal calendario mondiale e dell'avvento dei motori a due tempi, pronti a subentrare ai quattro tempi. Il Tourist Trophy dell'Isola di Man fu parte integrante del calendario del motomondiale fin dalla sua istituzione nel 1949 e fu escluso dalle competizioni mondiali nel 1976 a causa delle crescenti preoccupazioni per la sicurezza dei piloti. Numerosi incidenti mortali e gravi infortuni segnarono la storia della corsa, alimentando le crescenti preoccupazioni tra i piloti e gli organizzatori. Nel 1972, Giacomo Agostini, sicuramente il pilota pi&ugrave; illustre ed ingombrante del circus, rifiut&ograve; di correre al TT, citando le condizioni insostenibili di sicurezza del percorso. La sua presa di posizione fece eco tra molti altri piloti, evidenziando un problema che non poteva pi&ugrave; essere ignorato e che port&ograve; successivamente alla decisione del 1976. Durante gli anni '60, diverse case motociclistiche iniziarono a sperimentare e a sviluppare le loro moto con i motori a due tempi. Questi motori offrivano alcuni vantaggi significativi rispetto ai motori a quattro tempi, tra cui una maggiore potenza per unit&agrave; di cilindrata e una costruzione meccanica pi&ugrave; semplice e leggera. Questo rese le moto due tempi particolarmente competitive nelle classi inferiori del motomondiale, come la 125cc e la 250cc. La svolta decisiva avvenne per&ograve; negli anni '70, quando le moto a due tempi cominciarono a dominare anche nelle classi maggiori. Yamaha e Suzuki furono le principali protagoniste di questa transizione. Nel 1975 Yamaha vinse il suo primo titolo mondiale nella classe 500 con Giacomo Agostini, che fu tra i primissimi a capire il cambio di passo che la suddetta tecnologia avrebbe portato, lasciando la sua storica compagna di viaggio, la MV Agusta, per approdare presso la corte di Iwata; una scelta che si rivel&ograve; tanto azzardata quanto vincente. Anche la Suzuki inizi&ograve; a ottenere successi significativi con i motori a due tempi, grazie ai titoli di Barry Sheene nel 1976 e del 1977, andando cos&igrave; a confermare la nuova tendenza.&nbsp; L'epopea dei "cowboys": da Kenny Roberts a Kevin Schwantz Mentre Angel Nieto dominava le piccole cilindrate (la classe "80" e la "50" a cavallo tra gli anni 70' e 80'; 13 mondiali per lo spagnolo), la 125 fu segnata dai successi dello svedese Kent Anderson, nel biennio 1973-1974, e degli italiani Paolo Pileri e Pierpaolo Bianchi, entrambi in sella alla Morbidelli, fino al titolo del 1978 di Eugenio Lazzarini con la MBA. In 250 furono Walter Villa prima e Anton Mang dopo ad ergersi a dominatori; tre titoli consecutivi dal 1974 al 1976 per l'italiano insieme alla Harley Davidson, e nel 1980\81 e 87 per Mang, prima con Honda e poi con Kawasaki. In classe regina fu invece il momento del tanto raccontato ed intrigante periodo dell'epopea americana. L'avvento dei piloti a stelle e strisce segn&ograve; ben pi&ugrave; di un decennio della classe regina, regalando delle gare mozzafiato nonch&eacute; una spettacolarit&agrave; che non fece altro che far guadagnare interesse attorno a tutto circus.&nbsp; Il tutto ebbe inizio con l'arrivo di Kenny Roberts, non a caso soprannominato, in maniera alquanto azzeccata vista la popolarit&agrave; che ebbe il seguente appellativo, "il Marziano". L'americano si rivel&ograve; sin da subito vincente, tanto da conquistare tre titoli consecutivi del 1978 al 1980, riuscendo nell'impresa di vincere subito nell'anno da rookie (impresa ripetuta solamente da Marc Marquez nel 2013) e portando con s&egrave; uno stile di guida innovativo legato all'appoggio del ginocchio in curva, che andava ad evolvere la stessa originale metodologia che qualche anno prima si era vista con il finlandese Jarno Saarinen. Gli americani continuarono a dominare per tutto il periodo successivo; dopo i sigilli di Marco Lucchinelli nel 1981 e di Franco Uncini nel 1982, i protagonisti furono Eddie Lawson, vincitore di quattro titoli, Wayne Rainey, dominatore dal 1990 al 1992, Kevin Schwantz, campione nel 1993 e Freddie Spencer, vincitore nel 1983 e nel 1985, nonch&eacute; ultimo pilota della storia a riuscire a vincere due titoli in due categorie differenti nello stesso anno (nel 1985 vincendo sia in 500 che in 250). Passa alla prossima pagina &nbsp; L'ultima fase della 500 2t e Mick Doohan Negli anni '90, nonostante il dominio continuo dei motori a due tempi, cominciarono a emergere le preoccupazioni riguardo alle emissioni e all'efficienza. Inoltre lo sviluppo di quei motori ormai portava a miglioramenti ridottissimi in fatto di prestazioni. Cos&igrave;, nel 2002, FIM e Dorna introdussero la MotoGP, una nuova classe che permetteva l'uso di motori a quattro tempi fino a 990cc. Da quel momento in poi, i motori a quattro tempi hanno riconquistato il loro posto, e oggi dominano tutte le classi del motomondiale.&nbsp; Tornando alle corse, il declino dell'era dei piloti americani coincise con l'ascesa al trono del pilota destinato a chiudere i battenti della lotta al titolo per ben cinque anni consecutivi, ovvero l'australiano Mick Doohan. Insieme alla Honda NSR 500 e all'innovativo motore a scoppi irregolari, moto tra le pi&ugrave; iconiche della storia del motomondiale, l'australiano domin&ograve; come non si vedeva dai tempi di Agostini, per un totale di 54 vittorie nei GP. Se in classe regina la scena fu presa totalmente dall'alfiere della Honda, nelle piccole cilindrate inizi&ograve; a svilupparsi l'alba del movimento italiano destinato a caratterizzare i primi anni 2000, creando una vera e propria dinastia. Loris Capirossi vinse due titoli in 125, nel 1990 e del 1991, trionfando poi nella classe di mezzo nel 1998. Oltre al pilota cresciuto a Borgo Rivola, a prendersi la scena in terra italica, tanto in pista quanto sotto i riflettori mediatici, fu&nbsp;il romano Max Biaggi, pilota dal talento cristallino e dalla guida fluida e scorrevole che domin&ograve; la 250 per quattro stagioni consecutive, dal 1994 al 1997, vincendo tre titoli con l'Aprilia (un quarto arrivo con la Honda NSR 250), creando un binomio divenuto cult nell'immaginario collettivo. La MotoGP al suo massimo: l'era di Valentino Rossi&nbsp; Nel 1998 "il Corsaro" esord&igrave; in 500 divenendo il principale rivale per il titolo di Doohan, il tutto mentre nella quarto di litro debuttava Valentino Rossi, gi&agrave; campione del mondo l'anno precedente in 125 e destinato a cambiare la rotta del motomondiale da l&igrave; a poco. L'impatto di Valentino Rossi nel motomondiale (nove volte iridato, sul gradino pi&ugrave; alto del podio in 115 GP e autore di 235 podi) fu come un meteorite dagli esclusivi benefici per tutto il movimento. Un connubio paragonabile a quello di Michael Jordan e la NBA. Il carisma, la personalit&agrave;, il modo di guidare ed il modo di festeggiare alle innumerevoli vittorie ottenute, oltre che di intavolare le rivalit&agrave; sportive sia in pista che fuori, (su tutte quella con Max Biaggi, divenuta la rivalit&agrave; per eccellenza) fecero le fortune della MotoGP, che crebbe in maniera smisurata grazie anche al progresso tecnologico in ambito di media e comunicazione, relativamente alla popolarit&agrave;, al seguito e all'appeal. I trionfi di Rossi e la sua era divennero la cartolina migliore della MotoGP grazie ad un pilota che in maniera trasversale ha coinvolto per la prima volta non solo fan e addetti ai lavori. La Spagna all'attacco: Marc Marquez e i giorni nostri La competitivit&agrave; di piloti come Loris Capirossi, Max Biaggi, Marco Melandri, Andrea Dovizioso,&nbsp;e il compianto Marco Simoncelli, diedero linfa costante e vincente al movimento italiano, il quale precedette, in quello che possiamo definire un nuovo passaggio di consegne, l'avvento dell'epopea spagnola, in parte ancora in atto, grazie a piloti come: Jorge Lorenzo, cinque volte campione del mondo, Daniel Pedrosa, tre volte campione del mondo e Marc Marquez, otto volte campione del mondo. L'impero di quest'ultimo, iniziato nel 2013, riport&ograve; in vetta la Honda, che negli anni precedenti dovette subire le vittorie della Yamaha di Rossi e Lorenzo e della Ducati di Casey Stoner. La storia iniziata con Pagani, Ruffo, Frith e Graham prosegue oggi, a distanza di 75 anni, con il nostro Pecco Bagnaia e l'egemonia Ducati, in un altro dei cicli che resteranno nella storia.  WDW 2024, MotoGP, SBK e BSB: sfida totale nella race of champions        

Nato nel 1949, nel suo lungo percorso il campionato del mondo (poi Motomondiale) ha scritto pagine epiche che hanno lasciato un solco nel mondo sportivo e nell'immaginario collettivo

Il motomondiale compie 75 anni: una storia di moto e campioni

        Surflex propone nel proprio catalogo VINTAGE di kit dischi frizione completi, uno speciale gruppo per moto d'epoca destinato a Guzzi Lodola.? Kit Surflex: le caratteriwtiche tecniche Si tratta di un kit progettato con caratteristiche specifiche per questo modello realizzato dalla Moto Guzzi tra il 1956 e il 1966, nelle versioni 175 e 235 cc. caratterizzato da interessanti innovazioni tecniche non legate alla tradizione Guzzi, che per&ograve; si distinse in modo particolare nelle competizioni fuoristrada, l'allora Regolarit&agrave;, come il Motogiro d'Italia.? Il kit frizione completo Surflex si compone da due tipi di dischi: uno in acciaio speciale e uno in similoro, lega di rame, zinco e stagno, alla ricerca di un compromesso tra resistenza e dolcezza nell'attrito dinamico.? ?I due materiali si differenziano visibilmente sia nel colore, sia nella lucentezza. Il kit comprende anche un anello in materiale di attrito Surflex e cinque molle predisposte all'utilizzo e tenuta.? ?Il kit, perfettamente intercambiabile con l'originale, &egrave; per chi desidera un gruppo frizione in grado di assicurare prestazioni, efficienza, affidabilit&agrave; in ogni condizione di utilizzo.? ?Codice prodotto Surflex per Lodola 175cc: S 1110/B? Prezzo listino al pubblico Euro: 135,00 + IVA? ? Codice prodotto Surflex per Lodola 235cc: S 1288?Prezzo listino al pubblico Euro: 150,00 + IVA       

Surflex propone nel proprio catalogo VINTAGE di kit dischi frizione completi, uno speciale gruppo per moto d'epoca destinato a Guzzi Lodola

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